
Era una madre in grave crisi per la sua famiglia: il marito contabile, la madre che viveva con loro, la figlia molto amata, di sette anni. Soffriva da due mesi, quella mamma, da quando il piccolo di due anni e mezzo diceva soltanto “jo jo” e sembrava assente quando la mamma gli si rivolgeva cercando di attirare la sua attenzione. Ci vuole uno specialista per decidere se un bambino è autistico, a quell’età, o è soltanto un po’ indietro rispetto agli altri. Le indagini sulla morte del bambino sono state condotte dal procuratore capo di Torre Annunziata, Nunzio Fragliasso.
Ai giudici, dopo una prima versione confusa e il racconto ai ragazzi che hanno tentato di salvare il bambino purtroppo già annegato e al marito di un tentativo di rapina ai suoi danni e di essere stata spinta in mare, la donna ha detto una cosa diversa sul motivo della sua ansia: «Ho notato in mio figlio un certo ritardo nel linguaggio e più in generale problemi di apprendimento. Era solito fare movimenti ripetuti con le mani agitandole dinanzi al volto e in particolare muovendo le dita”, così ha detto al gip durante l’interrogatorio di garanzia la madre che domenica scorsa a Torre del Greco è entrata in acqua procedendo verso la scogliera e secondo gli inquirenti ha provocato la morte del suo bambino. Il gip Fernanda Iannone ha confermato il carcere per la donna che è indagata per omicidio volontario. Il piccolo Francesco, dopo l’autopsia, è stato inumato nel cimitero di Torre del Greco e la famiglia ha ringraziato la città, secondo quanto ha fatto sapere il sindaco Giovanni Palomba “per la vicinanza e la solidarietà dimostrate in questa terribile vicenda. Chiede, e, affranta nel proprio cordoglio, ha chiesto il massimo riserbo e il pieno rispetto del silenzio”.
Articolato il racconto delle paure della donna, una madre in ansia perché in famiglia aveva avuto casi di patologie mentali che la facevano preoccupare per il futuro del bambino. Così “non volendo parlarne con nessuno”, fino al consulto con uno specialista, che doveva essere prescritto dal pediatra di base lunedì, ha ceduto alla tentazione di tante persone e si è affidata al web: “Consultando il motore di ricerca Google ho iniziato a ricondurre questo suo modo di fare a una forma di autismo. Ho temuto che mio figlio vivesse quanto vissuto da mia madre, che soffre di disturbi schizofrenici da quando era giovane». Una donna rimasta sola con lo spettro di un terrore che non riusciva ad affrontare: quello di un figlio che non avrebbe potuto vivere una vita “normale”.
Ai timori per la salute del bambino si aggiungeva una situazione familiare non delle più facili, che di sicuro non ha aiutato a maturare una serenità nei confronti della situazione. Il marito, ha raccontato al giudice la donna, era momentaneamente disoccupato e lei che aveva lavorato in alcuni negozi, ormai non aveva più un’attività fuori di casa da tempo. Ha aggiunto che la vita familiare non le riservava grandi gioie, “tranne quelle dei risultati a scuola della primogenita”. Si legge nell’ordinanza: «La donna – ha anche con chiarezza ammesso di non aver mai accettato il piccolo, fonte di dolore sin da prima della sua nascita, essendo egli stato fautore di una gravidanza difficile, di un parto dolorosissimo, del definitivo allontanamento del marito, nonché protagonista di un quotidiano ingestibile nel quale si muoveva tra capricci continui, urla, moti incessanti, disturbi alla vita della famiglia”. La madre si preoccupava che tutto questo potesse turbare anche la serenità della bambina più grande.
Nelle diciotto pagine che compongono l’ordinanza, motivata con il pericolo di fuga o di compimento di atti di autolesionismo, si deduce che per il giudice la donna non è una vittima e anzi durante l’udienza di convalida abbia «manifestato una scaltrezza e lucidità non ordinarie» e che abbia avuto «la prontezza di spirito di fornire al marito e ai ragazzi che l’hanno soccorsa una ricostruzione fantasiosa e dettagliata».
Questo ha spinto il gip a considerarla «una personalità proclive alla menzogna e irrispettosa delle regole». Accolta comunque la richiesta del difensore della donna, Ciro Civitella, di una perizia psichiatrica. “Non mi capacito di cosa sia accaduto – ha detto ancora al giudice la donna – Devo ammettere che con la nascita di questo secondo figlio ho avuto difficoltà a gestire i miei bambini e ne soffrivo particolarmente. Ma domenica sera ero uscita solo per fare una passeggiata”. E mentre il bambino era in acqua tra le sue braccia, secondo quanto testimoniato dal marito, che si è lanciato in mare per cercare di raggiungere la moglie e il figlio, “credo – ha detto distrutta Gisa – di non essere stata in me”.