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Camorra, lo sprone dell’arcivescovo: “La Chiesa segua l’esempio di don Diana”

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“Questo è un luogo sacro, avrei dovuto entrarci a piedi nudi” . Don Mimmo Battaglia, arcivescovo di Napoli, si commuove quando entra nella sagrestia dove fu ucciso don Peppino Diana il 19 marzo del 1994. Lo accompagna don Franco Picone, padrone di casa e parroco della chiesa di San Nicola di Bari che fu di don Peppe. Don Battaglia è a Casal di Principe per parlare del documento “Per amore del mio popolo” a 32 anni da quel Natale del 1991, quando quell’atto di denuncia contro la camorra fu letto dagli altari delle parrocchie della Foranìa di Casal di Principe.

A promuovere l’incontro, moderato da Lina Ingannato, è la “ Scuola di Pace don Peppe Diana”, insieme a Libera e al Comitato che porta il nome del sacerdote ucciso dalla camorra. È uno dei momenti che porta al giorno della memoria, ma soprattutto al ricordo dell’omicidio di don Diana, In prima fila Marisa Diana la sorella di don Peppe e Augusto Di Meo, il testimone che quel giorno era in chiesa con don Peppe e che invece di scappare, corse a denunciare ai carabinieri ciò che aveva visto.

“Quel seme è germogliato – ha detto Salvatore Cuoci, coordinatore del Comitato don Peppe Diana, nell’aprire l’incontro – e ha prodotto associazioni, tante iniziative nei beni confiscati e ragazzi che arrivano da tutt’Italia per conoscere don Diana. Questo è il miracolo di don Peppe”. Il sindaco di Casal di Principe, Renato Natale, ha ricordato che “con la sua uccisione volevano intimorire la città. Ma non ci sono riusciti. Grazie alla resistenza di tanta gente, alla magistratura, alle forze dell’ordine, le associazioni, questa città è stata liberata dalla morsa della camorra. Ma non dobbiamo ancora fermarci, perché in questi giorni, in posti a noi vicini, hanno minacciato don Patriciello e il comandante dei vigili urbani di Arzano”.

Il vescovo di Aversa, Angelo Spinillo, parlando di don Diana e della sua possibile beatificazione, ha immaginato come lo vedrebbe rappresentato in chiesa. “Con lo sguardo di un volto attento e confuso nello stesso tempo, come quando in quella sagrestia entra il killer e gli chiese ‘Chi è don Peppe Diana?’ con lo sguardo forse sorpreso e preoccupato. Un momento forte al quale non si sottrae. E in quel momento dice che ‘Sono io’ e vedo raffigurato don Diana martire”.

Marco Tarquini, il direttore di Avvenire, ha ricordato ai tanti presenti in chiesa, che i clan “avevano sporcato anche il vostro nome. Ci sono momenti di fronte ai quali non bisogna essere equidistanti, perché il bene e il male esistono. E don Peppe Diana non lo è stato. Il seme germogliato è il seme delle opere, ma è il seme di persone che sanno vivere la loro vita di pace”.

Per Don Mimmo Battaglia, arcivescovo di Napoli “Don Peppe si racchiude in due parole: ‘irrequietezza e martirio’. Penso che queste due dimensioni sono inesorabilmente intrecciate fra loro, l’una non può stare senza l’altra, luna trova compimento nell’altra. Penso che se non ci fosse stata quella irrequietezza non ci sarebbe stato il martirio e che il martirio è solo la tappa finale e la logica conseguenza dell’irrequietezza di don Peppe”. Don Mimmo Battaglia ha citato più volte le parole del Papa. “Bisogna uscire a sperimentare la nostra azione, il suo potere e la sua efficacia redentrice nelle periferie dove c’è sofferenza, c’è sangue versato, ci sono prigionieri di tanti cattivi padroni. Don Diana avrebbe usato le parole di Bergoglio se avesse scritto oggi quel documento “ Per amore del mio popolo”. Per don Peppe – ha aggiunto l’arcivescovo di Napoli – essere irrequieto significava semplicemente vivere il Vangelo e dire con tutto se stesso che il Vangelo e il quieto vivere, sono agli antipodi, soprattutto in terre di frontiera e laddove la dignità umana è calpestata tutti i giorni. Ora forse capisco cosa voleva dire quando affermava ‘a me non importa sapere chi è Dio, a me importa sapere da che parte sta’. E lui lo ha capito”.

Per Battaglia, insomma, la Chiesa deve seguire l’esempio di don Diana. “Don Peppe sul Golgota non ci è arrivato all’improvviso – ha sostenuto don Mimmo Battaglia – e neanche sbagliando strada, l’aveva scelta lui giorno dopo giorno, curva dopo curva, percorrendola e inerpicandosi lungo i ripidi tornanti di quell’altro martirio, di quell’altra spoliazione, quella della quotidianità, laddove spariscono le sicurezze”. E ha concluso attualizzando l’appello finale del documento ‘Per amore del mio popolo’ alla chiesa di oggi: “Oggi come Chiesa della Campania non possiamo non sentire rivolte a noi queste forti parole così come non possiamo non sentire rivolto a noi l’appello con il quale chiudeva il documento: alla chiesa chiediamo che non rinunci al suo ruolo ‘profetico’ affinché gli strumenti della denuncia e dell’annuncio si concretizzino nella capacità di produrre nuova coscienza nel segno della giustizia e della solidarietà dei valori etici e civili”.
 

Fonte: https://napoli.repubblica.it/cronaca/2022/03/16/news/camorra_lo_sprone_dellarcivescovo_la_chiesa_segua_lesempio_di_don_diana-341645967/?rss

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