Impossibile spiegare ai bambini le grandi questioni di geopolitica. Ma che stavolta la guerra non sia un video game, né il tema di un carnevale ritardatario, è già parte della consapevolezza in erba dei piccoli delle nostre scuole. Forse i più sinceri interpreti di un desiderio di pace che non si cura di confini e bandiere. Lo hanno dimostrato in questi giorni sfilando composti nelle marce e nei flash mob contro la guerra.

E lo hanno testimoniato nei loro disegni delle ultime ore, fatti a scuola e a casa, spesso dopo aver visto in tv scene di altri bambini senza più scuola e senza più casa. Eccola la guerra disegnata a 4 anni, a 6 anni, a 10. Tratti neri che graffiano fogli senza speranza. Bambini smembrati dalle bombe insieme al cane (va a capire se di peluche o vero). Carri armati che sputano missili da una proboscide tinte pastello.
E i colori accesi dell’infanzia? I pennarelli? Bisogna parlare di pace perché i bambini tornino a usarne, quando compongono manifesti corali che dicono “no war”, o quando sigillano col timbro delle loro manine i disegni coi simboli della pace. Nelle scuole il tema della guerra non può essere rimosso. Lo ha detto anche il ministro per l’Istruzione Patrizio Bianchi, che ha invitato, in particolare, a leggere l’articolo 11 della Costituzione ed a riflettere su quelle parole: “L’Italia ripudia la guerra”. Sin dalle elementari.

Come hanno fatto alla Vanvitelli, al Vomero; dove nelle classi quinte quell’articolo lo hanno spiegato nei dettagli, mentre nelle altre classi gli scolaretti, per iniziativa delle insegnanti sollecitate dalla preside Ida Francioni, riempivano di colori i simboli della pace, trasformavano i selfie in denunce della guerra (rinunciando ai propri visi e sorrisi sostituiti dai simboli pacifisti), disegnavano mani che si stringono e bandiere nazionali che svolazzano nel cielo spensierate, tutte insieme. Andrea, 7 anni, della scuola Cuoco Schipa, non ha saputo scegliere come esprimere il suo desiderio di pace, a quale simbolo legarsi: un cuore rosso? Un arcobaleno? La bandiera del Popolo che sta subendo l’aggressione militare? Nell’incertezza i simboli li ha sovrapposti l’uno all’altro, per non trascurare alcun aspetto di quella pace che chiede per sé e per i bambini come lui “ovunque siano”. E se le bombe – rigorosamente nere – colpiscono le case nel disegno di Aurora, seconda elementare alla scuola Ristori, la bomba più grande, grande quanto la metà di una casa, finisce su un fiore solitario di un prato dove non cresce altro, ma dove un uomo e una donna stanno nell’incertezza del da farsi. Ed è un coetaneo di Aurora il piccolo Francesco che disegna soldati fedelmente in divisa verde e mezzi aerei arancioni e fucsia.

Stefania Colicelli, preside dell’istituto comprensivo adelaide Ristori a Forcella, definisce quei bambini “meravigliosi “, e insegna loro che “dobbiamo essere uniti contro ogni guerra “: “Costruiamo la pace” hanno scritto i bambini su un cartellone che, anche stavolta, tiene dentro ogni simbolo possibile della pace: un grande cuore con i colori arcobaleno, il cerchio che rappresenta il mondo senza nucleare e senza armamenti, le impronte dell’innocenza infantile… Non ce l’ha fatta a rappresentare un morto, il ragazzino della Vittorino da Feltre che ha disegnato carri armati e palazzi colpiti dalle bombe; e invece del corpo morto di un bambino ha raffigurato un angelo, con ali e aureola sulla testa. “No alla violenza, no alla guerra” ha scritto un altro alunno sul disegno di due persone che fronteggiano un carro armato, e la sua invocazione l’ha fatta seguire da una gragnuola di punti esclamativi.
È il modo dei bambini per gridare senza alzare la voce, per dare sfogo alle emozioni, alla paura. Valeria Pirone, la preside della scuola, cita Maria Montessori: “Se v’è per l’umanità una speranza di salvezza e di aiuto, questo aiuto non potrà che venire dal bambino, perché in lui si costruisce l’uomo. E allora i sorrisi e la gioia dei bambini possono rappresentare un augurio di speranza e di pace”.