
“Guardo indietro nel tempo/Ai giorni in cui eravamo giovani e forti/Abbiamo combattuto per la nostra libertà/Ma riconoscevamo la linea tra giusto e sbagliato”. Si apre (e si chiude) con questa ballata country l’ultimo film – “Cry Macho” – prodotto e diretto dal regista di “One million dollar baby”, di “Gran Torino” ed altri capolavori.
Mike Milo è un cowboy 91enne che dice chiaramente che il “machismo” è sopravvalutato. Ed è lui, è proprio l’uomo senza nome della trilogia di Sergio Leone, è quel cuoio duro che lancia imprecazioni a denti stretti. È Clint Eastwood dei 5 premi Oscar, al suo 40esimo film da regista. È vecchio, il suo corpo ingobbito è al centro dell’inquadratura, senza mai nascondere il suo camminare lento e claudicante, la sua senilità vigorosa ma con le spalle curve, la sua necessità di dover fare spesso brevi dormite per recuperare energie.
Siamo in un western moderno, crepuscolare e dolce, pacificato e vitale, dove si riflette sulla vecchiaia, i figli ed il passato glorioso ma dove c’è sempre un nuovo inizio possibile se mantieni il cuore aperto. Un western contemporaneo, imperfetto ed autoironico, dove un anziano cowboy deve salvare un ragazzino da una vita di violenze. C’è il cappello, gli abiti, il Texas, i cavalli.
Uno scassato furgoncino Chevrolet.
C’è tutto l’armamentario dell’uomo dagli occhi di ghiaccio, ma senza pistole e con un milione di rughe di vita sul viso. È un romanticismo nostalgico ma mai malinconico, anzi pieno di amore per la vita, pieno di un codice morale di onore, rispetto e benevolenza. Clint non si nasconde in questa sorta di testamento esistenziale e cinematografico. E si prende cura dei più fragili, come ha sempre forse fatto. Ma con un altro tono, con una diversa modalità. Si prende cura di un ragazzo ribelle, di una vedova e delle sue ragazze. Si prende cura degli animali malati che i contadini messicani gli portano con deferenza e speranza.
«L’unica cosa che non posso curare è la vecchiaia», sentenzia Mike/Clint. Senz’altro il film ha sbavature e squilibri come ha detto qualcuno. Ma che importa! Che importa di fronte al coraggio e alla grandezza artistica di un mito vivente? Clint incarna e racconta le certezze che si sgretolano, l’accettazione del tempo che è passato, l’amore per il presente delle cose semplici, il sorriso verso le avventure. L’incanto e la bellezza che si trova nella natura, nei panorami, negli animali, nelle persone. La consapevolezza che nell’imbrunire della propria vita si può accogliere il futuro della gioventù,che i colori del tramonto sono simili all’alba. E possono danzare insieme.