“A inizio febbraio abbiamo cominciato lo screening in rete con l’Istituto Superiore di Sanità per la variante inglese. Avevamo una incidenza del 7%, ora dal report di ieri il dato è del 20%”. Lo afferma Luigi Atripaldi, direttore del dipartimento di biochimica clinica e microbiologia dell’Ospedale dei Colli di Napoli, che comprende il Monaldi e il Cotugno. “Siamo in una rete nazionale – spiega – e abbiamo la possibilità di sequenziare tutto il genoma del virus, per così individuare la variante inglese e anche altre possibili varianti che sono anche più pericolose. E’ chiaro che il dato di crescita è molto forte e quindi il contenimento è davvero necessario”.

E il modello di diffusione della variante inglese del Covid è analizzata in queste ore dai ricercatori in tutto il monndo. “Arriverà a essere prevalente, grazie alla maggiore capacità di infettare. Sars-Cov-2 e la variante inglese diventeranno tutt’uno. Per i ceppi del passato ci sarà sempre meno spazio”. Così Alessandro Vespignani, l’epidemiologo computazionale che dirige il laboratorio di modellistica dei sistemi biologici alla Northeastern University di Boston, sostiene che a fine febbraio un contagiato su due contrarrà la variante inglese del Covid, mentre a marzo sarà prevalente, ma questo “non si tradurrà automaticamente nelle curve ripide viste in Gran Bretagna. Molto – dice in un’intervista a Repubblica – dipenderà da noi e dalla capacità di mantenere l’Rt sotto controllo”.