
Una domanda sorge spontanea al termine di una “passeggiata” molesta e faticosa, uno slalom tra tavolini e dehors lungo i due Decumani – via Tribunali e via San Biagio dei Librai – preferiti dai turisti mordi e fuggi, tutti al seguito di guide con ombrelli segnaletici sbandierati: dobbiamo chiuderci nelle nostre case rumorose in attesa delle vacanze estive o ricercare soluzioni compatibili con la vivibilità in merito all’uso degli spazi comuni? Sul tema del caos urbano non dovrebbero sorgere dilemmi filosofici, economici e sociali da dirimere, dato che non si può assolutamente mettere sullo stesso piatto della bilancia l’interesse economico di pochi e il diritto costituzionale di tantissimi cittadini residenti.
Davvero c’è qualcuno ancora convinto che l’attività del food porti tanti posti di lavoro regolare? Che i guadagni vertiginosi siano equamente distribuiti? Che sia tutto frutto di una imprenditoria sana? La situazione è degenerata negli ultimi dieci anni di deregulation e proprio la molesta ma emblematica “passeggiata” nei Decumani ci fa comprendere che tornare indietro, ineludibile dovere culturale e sociale, è davvero complicato, anche perché manca una diffusa coscienza civica della legalità, come nel caso dell’occupazione di suolo pubblico, che a Napoli diventa vera usurpazione. Il problema presenta due aspetti di pari importanza: il primo riguarda l’uso democratico di questi spazi e il secondo, di quelli di interesse culturale, soggetti a vincolo di tutela.
Premesso che parliamo di uno spazio destinato “ad un uso sociale collettivo nel quale chiunque ha il diritto di circolare o sostare”, purtroppo riscontriamo quotidianamente ciò che è sotto gli occhi di tutti: marciapiedi, percorsi protetti, slarghi, piazze e persino carreggiate sono occupati del tutto da privati, da esercenti che se ne servono per posizionare un delirio di tavolini, bancarelle, dehors, semplici pannelli pubblicitari o per parcheggiare le loro moto, impedendo la circolazione nelle zone riservate ai pedoni, che sono costretti a utilizzare la carreggiata stradale.
La situazione diviene ancora più seria e deplorevole nel caso delle aree di valore culturale, che, tra l’altro, nel caso del centro antico, coincidono in prevalenza con sagrati e aree di pertinenza di beni monumentali. A questo proposito, c’è preoccupazione anche nella Soprintendenza per l’Archeologia Belle Arti e Paesaggio per il Comune di Napoli a causa delle numerose occupazioni di aree vincolate, prive di autorizzazione in applicazione della deroga agli art.21 e 146 del Codice dei Beni Culturali (subordine dell’esecuzione di opere alla autorizzazione del relativo ministero) prevista dal cosiddetto “decreto Franceschini”, che in occasione della pandemia ha inteso assegnare ristori economici e semplificazioni burocratiche agli esercenti del food.
Il riferimento diviene puntuale nella individuazione di alcuni siti dei due Decumani, siti particolarmente importanti e offesi dall’anarchia vigente: la statua del Nilo, i portici di Palazzo d’Angiò, il Monte di Pietà, il Palazzo Diomede Carafa, il sagrato di San Lorenzo Maggiore, le casupole di legno di San Gregorio Armeno. Solo per citarne alcuni: certo, alcuni, perché l’elenco è esaustivo di tutti gli spazi monumentali del centro antico, nessuno escluso. Tra essi vale la pena di citare anche il sagrato dei Girolamini, che tempo fa era stato liberato dai tavolini; oggi è in parte occupato dal cantiere di restauro della Chiesa e in parte ri-occupato da questi ultimi. Un cartello esplicita una motivazione che sa di beffa: “Partecipazione dei cittadini alla cura della città. Il Comune di Napoli affida questo spazio verde a..”, laddove lo spazio verde consiste, nientedimeno, in alcune fioriere seminate tra i tavolini di una pizzeria.
Per questi preziosi siti la stessa Soprintendenza chiede al Comune forme condivise di disciplina con l’obiettivo di non danneggiare la tutela e il pubblico godimento di questi beni del tessuto antico. Le citate norme, d’altra parte, non citano né rimandano all’art.20 c. 1 del Codice (“Interventi vietati”. L’articolo è citato solo per i cambiamenti di destinazione d’uso), che, in modo esplicito e perentorio, afferma che la tutela va esercitata aldilà e al disopra di ogni possibile restrizione dovuta a fatti eccezionali o emergenziali: “I beni culturali non possono essere distrutti, deteriorati, danneggiati o adibiti ad usi non compatibili con il loro carattere storico o artistico oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione”. Ciò in ogni caso, con o senza richiesta di autorizzazione.