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I neet, i giovani dimenticati che nessuno vuole

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Uno dei capolavori del cinema mondiale è il film del 1950 di Luis Buñuel dal titolo originale “Los olvidados” tradotto in italiano con il mediocre “I figli della violenza”. Per sfuggire al dittatore Franco, il regista spagnolo emigrò in Messico e, nel suddetto lungometraggio, raccontò la grande piaga della miseria e dell’abbandono giovanile di questa terra che aveva come protagonisti quelli che lui definì nel titolo i dimenticati.

L’altro giorno, in un’interessante intervista, il sindaco di Napoli Gaetano Manfredi ha citato per la nostra città la grande questione che la sociologia anglosassone ha indicato nel fenomeno dei NEET (Not in Education, Employment or Training) giovani non impegnati nello studio, né nel lavoro, né nella formazione, in pratica “los olvidados”, i dimenticati. Di questa drammatica situazione giovanile, l’Italia ha il primato europeo per presenze sul proprio territorio, un dato in crescita che conta circa 2.100.000 persone comprese tra i 15 e i 29 anni, il 23,3 % secondo Eurostat, un terzo dei giovani. Sebbene il fenomeno sia in crescita relativa al Nord – per effetto anche delle restrizioni dovute alla pandemia – la sua maggiore concentrazione è da sempre nel Sud del Paese e in una percentuale maggiore tra le giovani donne.

Un dramma di cui fino ad oggi le istituzioni del Meridione si sono occupate poco o niente malgrado i fondi e i programmi europei disponibili destinati a questo preciso scopo. La citazione di questo dramma fatta da Manfredi è un presupposto di consapevolezza importante, per quanto ancora allo stadio di buona intenzione o di buona risposta a un’intervista. Il fenomeno è grave e complesso allo stesso tempo, Napoli ne è il palcoscenico principale in quanto è la prima metropoli meridionale per popolazione e allo stesso tempo è la capitale della disoccupazione giovanile italiana in termini assoluti (il fenomeno dei dimenticati è maggiormente inscritto in quello della disoccupazione giovanile).

I dimenticati sono la base del disagio giovanile che non porta solo alle note esplosioni sociali della micro e macro criminalità, ma anche all’implosione silenziosa nella depressione, nei suicidi, nel disagio psichiatrico e in tutte quelle forme di fragilità che non riescono ad accedere pienamente ai diritti di cittadinanza. A Napoli, un giovane o una giovane dimenticati non hanno concluso la scuola dell’obbligo, non hanno avuto accesso al mercato del lavoro e non sono impegnati da una formazione occupazionale, e anche a volergli trovare un impiego grazie a una bacchetta magica ci si imbatterà nel tema della loro inoccupabilità (non conoscono un mestiere e ancor più non conoscono quale sia il proprio talento lavorativo). La complessità del fenomeno è data dal fatto che intreccia tre dimensioni: la scuola, il mercato del lavoro e il campo della formazione. La scuola, quella del Sud che fa ciò che può, nei casi migliori cerca di inventarsi progetti di istruzione-formazione in collaborazione con agenzie e associazioni del terzo settore.

Queste buone intenzioni si imbattono però con la carenza di risorse, la spesso insufficiente formazione degli insegnanti e degli educatori e la bassa qualità dei progetti stessi, e soprattutto la mancanza di sbocchi in un mercato del lavoro verso cui sia il governo centrale che quello regionale hanno attivato politiche deboli o miopi. In pratica, assistiamo, tra scuola e terzo settore, a una forte presenza di progetti per la questione giovanile cittadina ma che non raggiungono quei giovani che non vedono in essi (quando li vedono) qualità e prospettive occupazionali. Un dimenticato o neet non è facile da schiodare dalla sua situazione di circolo vizioso, il dimenticato che sia dimenticato da troppo tempo ha raggiunto la condizione di sfiducia o addirittura di nichilismo di chi, in pratica, non si è sentito amato e magari all’inizio ha amato senza mai vedersi corrisposto.

Raggiungere un dimenticato quando questi ha 15 anni o invece 25 fa grande differenza, nel secondo caso il suo stato implosivo o esplosivo si è stratificato al punto che richiederebbe interventi di supporto e sostegno di grande intelligenza e qualità. Ma come fornirli se non in un’agenda di priorità politiche e di dotazioni di risorse umane e finanziarie che si basi sulla conoscenza del fenomeno (come ha dimostrato Manfredi) ma ancora oltre su capacità di intervento e su qualche lacrima versata al pensiero che in fondo questi figli degli altri sono anche nostri figli? Manfredi non potrebbe pensare di affrontare la questione dei dimenticati solo come amministrazione cittadina, se non rischiando un insuccesso clamoroso, ma solo obbligando Stato e Regione ad affiancarlo in un’opera di ricostruzione di un legame perduto a causa di chi aveva già da tempo l’obbligo e gli strumenti per non lasciarlo cadere.

La Regione è da tempo latente in questa missione, De Luca forse non ha la cultura politica per capire che la ricerca di consenso non è solo quella legata all’immagine e alle alleanze di palazzo ma che invece può farsi nel trovare soluzioni a problemi reali e scottanti. Dico questo perché il terzo ambito che coinvolge i dimenticati è quello della formazione, forse quello più scandalosamente condotto da sempre nella nostra regione, imbottigliato in clientele e appalti di cui per anni mi sono chiesto come facessero a mancare pienamente il proprio obiettivo finché mi sono risposto che il loro obiettivo è un altro: dare lavoro ai formatori e non ai formati, usare le ingenti risorse per machiavelliche combinazioni speculative che arricchiscono le lobby del settore (mi si risponda ad esempio sul perché il programma europeo Garanzia Giovani destinato ai neet è stato impiegato poco e malissimo in questi anni, sul perché il più recente GAS è trattato come un programma che serve per abbigliare le mosche). Sul settore della formazione nessuno si esprime a livello istituzionale e nessuno controlla all’interno di esso, e parlo non di dichiarazioni che fanno parte della retorica politica. Emarginati da una scuola in affanno, da un mercato del lavoro in cui il pubblico e il pensiero economico non danno spazio ai più fragili e da un settore della formazione che è diventato esercizio diabolico, i dimenticati navigano come bottiglie abbandonate nel mare con un unico messaggio all’interno: io non posso, io non ci credo, io non so.

Chi saprà iniziare a intervenire su tutto questo e costringere gli altri a seguirlo? Per ora sono gli stessi giovani dimenticati a inventarsi delle soluzioni che hanno molto l’aspetto delle peripezie, lo fanno quando smettono la retorica del vittimismo e del lavoro che qualcuno gli deve dare e allora magari emigrano, continuano a sognare, iniziano a battersi, con la complicità di quegli insegnanti, educatori e maestri che credono ancora che non tutto sia inferno. Se devo dire cosa sto iniziando però ad odiare è quella definizione “dell’arte di arrangiarsi” che da troppo tempo è un attributo dei meridionali e in particolare dei napoletani. Arrangiarsi, in tempi in cui diritti e i doveri dovrebbero essere avanzati, è come finire a costruirsi da soli e con mezzi di fortuna una corda con cui non sostenersi ma impiccarsi. In fondo, poiché appartengono alle nuove e future generazioni, i dimenticati non sono altro che la forma più evidente del suicidio della società locale, lo sono insieme alla distruzione della natura, o meglio, scusatemi lo slancio finale, le due cose non sono altro che la stessa cosa: cambia solo la parte da cui iniziare a morire. Ma noi, almeno noi che battiamo su questo chiodo, vogliamo vivere.
 

Fonte: https://napoli.repubblica.it/cronaca/2022/01/17/news/i_neet_i_giovani_dimenticati_che_nessuno_vuole-334209588/?rss

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