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Il procuratore generale Riello: “Don Battaglia, incontriamoci, contro i clan giudici e preti senza paura”

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Luigi Vicinanza, venerdì su queste colonne, ha offerto una interpretazione finalmente costruttiva dei miei interventi e della successiva lettera aperta dell’arcivescovo Battaglia, non qualificando quest’ultima come una piccata risposta alla mia analisi, ma come una mano tesa al dialogo tra Chiesa ed istituzioni dello Stato. Non a caso, infatti, Don Mimmo ringrazia coloro che spronano “la Chiesa ad essere sempre più fedele al Vangelo, criticando quanto in essa è ancora intriso di neutralità e timore” e – dopo aver ricordato la “ storia minima e tenace di una Chiesa che quotidianamente guarda in faccia la camorra”, la determinazione dei sacerdoti che si sentono chiamare “sbirri” perché “dinanzi alla cappa omertosa della sovranità mafiosa non arretrano neanche di un centimetro” – non esita a prendere di petto, senza “girarci intorno”, quella che definisce plasticamente “ la chiassosa responsabilità per i silenzi di non pochi uomini di Chiesa di fronte all’arroganza della camorra”, in uno all’”imbarazzante tentativo di un certo pensiero ecclesiastico di sminuire e minimizzare” questi problemi.

Mi sembra quindi evidente che, lungi dal trovarci di fronte ad un “botta e risposta” intriso di polemiche, come non pochi articoli di stampa hanno impropriamente rappresentato, siamo nella virtuosa prospettiva di una cooperazione, nel reciproco rispetto dei ruoli, tra magistratura e mondo ecclesiastico, con l’obiettivo di espugnare le roccaforti culturali, prima che “ fisiche”, della camorra, con la forza dello Stato saldata all’apostolato di “ religiose e religiosi che non si limitano ad aspettare il ritorno del figliuol prodigo, ma gli stanno dietro, seguono i suoi passi, non gli danno tregua nel ricordargli lo sperpero che sta facendo della sua vita”. È la “ sovranità mafiosa” ad essere intollerabile, ossia il fatto che alcuni territori, pur a fronte di un’azione di magistratura e forze dell’ordine sempre più incessante, continuino a sfuggire al controllo dello Stato, un controllo che non può manifestarsi solo con divise e manette, ma anche e soprattutto con un’opera testarda di bonifica sociale, a suon di lavoro, scuola, strutture sportive, in definitiva di concretizzazione di alternative alla devianza, soprattutto minorile, che ha raggiunto livelli preoccupanti. Solo così si può avere speranza, con una Chiesa “ con le mani sporche di Vangelo”, come scrive don Mimmo, ed uno Stato che accantoni per sempre ogni sua presenza intermittente o meramente declamatoria e si materializzi sotto forma di repressione adeguata agli illeciti ( che, piaccia o no alle anime belle, è necessaria) e di supporto a quanti, come ha detto il presidente Mattarella, sono “confinati in periferie esistenziali”. Allora, il problema non sta nello stabilire chi tra Stato e Chiesa conti più pavidi e inadeguati tra le sua fila, in uno spirito competitivo alla rovescia, ma nell’evitare di proporre i santini dei preti- coraggio come “paraventi insanguinati da mostrare all’occorrenza”, come scrive don Mimmo, allo stesso modo in cui noi magistrati dobbiamo onorare la memoria dei tanti colleghi assassinati da terroristi e mafiosi, ma non farne una bandiera per nascondervi dietro i magistrati disonesti, faccendieri o corrotti.

Una cosa è certa: è finito il tempo di servire due padroni, come dice Gesù nel Vangelo di Matteo, cioè di mischiare il diavolo con l’acqua santa. Tutti siamo chiamati ad una scelta di campo, senza le ipocrisie e gli opportunismi di quegli “intellettuali” che, nel 1977, teorizzavano di schierarsi “né con lo Stato, né con le brigate rosse”. Non si può essere magistrati o sacerdoti in terra di camorra ed avere paura. Allo stesso modo, non si può essere mafiosi e praticanti. La comprensione della Chiesa non può coincidere con la contemporaneità tra delitto ed eucarestia, droga, sangue, corruzione e segno della croce. Ho parlato dell’inferno come “ ergastolo delle anime”, senza indulgenze e liberazioni condizionali, ma come dannazione eterna; il segno che la dottrina cattolica non ammette compromessi, spalanca le porte a quanti si pentono, ma le chiude in faccia agli irriducibili che sono ancora più intollerabili allorché pretendono di uccidere con la benedizione di Dio. Concludendo, certo che sarà importante incontrarci, ma lontano dai riflettori, con l’arcivescovo, con il sindaco ed anche con tanti altri per camminare insieme, coniugando valori cristiani e civili che, come ricorda Vicinanza, hanno lo stesso fine, lasciando ad altri l’antimafia fatta di lustrini e ruote di pavone, sotto le luci della ribalta.
 

Fonte: https://napoli.repubblica.it/cronaca/2022/02/06/news/il_procuratore_generale_riello_don_battaglia_incontriamoci_contro_i_clan_giudici_e_preti_senza_paura_-336708289/?rss

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