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La crisi mette a rischio il Pnrr

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“Non siamo in economia di guerra ma dobbiamo prepararci”. Così il premier Mario Draghi appena qualche giorno fa nella conferenza stampa di Versailles. L’improvvisa impennata del conflitto russo ucraino ha inesorabilmente cambiato le priorità della politica economica italiana. Quando appena sembrava di essere usciti dalla crisi pandemica, ecco che il conflitto bellico riporta il mondo a dover drammaticamente fare i conti con gli strascichi prodotti dall’ultima follia umana. Che la ripresa in atto avesse dato qualche piccolo segnale di frenata era cosa nota, così come il ritmo galoppante dell’inflazione aveva già indotto le principali banche centrali a preannunciare, sia pure ancora nell’indeterminatezza dei tempi, un rialzo dei tassi di interesse.

Ora che le bombe e la morte si sono prese nuovamente la scena, pensare ad un aumento del costo del denaro sembra bestemmia pura. Ciò nonostante, gli effetti del caro energetico e dell’aumento delle materie prime hanno già cominciato a mettere in ginocchio il sistema imprenditoriale italiano. L’aumento spropositato del costo del gas ha già costretto molte aziende a chiudere e gli stessi consumatori ad improvvisare avventate corse ai supermercati per accaparrarsi qualche pacco di pasta in più. Scene inverosimili fino a qualche anno fa che, il Covid insegna, si verificano ogni qualvolta una emergenza planetaria dagli esiti imprevedibili attanaglia il Paese.

Il vertiginoso aumento del costo della benzina, che ha già bloccato il trasporto delle merci in mezza Italia, è spiegato dal ministro Cingolani come ingiustificato e frutto di ignobili speculazioni. Si può essere pure d’accordo (e la logica oltre che i fatti dicono sia così), ma un membro autorevole del Governo non può limitarsi ad una accorata denuncia sulla carta stampata. Ha il dovere di segnalare i fatti alle autorità competenti e di preparare le contromosse. Cingolani non è un cittadino come tanti, deve proporre e fare.

Allo stesso tempo, il ministro Giorgetti già preannuncia un fondo per le imprese in difficoltà e si dice pronto a leggi eccezionali, proprie dello stato di guerra. È evidente che a fronte di quadro così disperante non possono che trovare ingresso misure straordinarie, da una nuova sospensione (ma sarebbe auspicabile un vera riforma) del Patto di Stabilità, alla riduzione o eliminazione delle accise sul prezzo della benzina, al ricorso ad un sistema di prezzi amministrati in grado di ridurre il salasso economico per le famiglie e le imprese. Intanto, finché le linee guida di una politica economica con l’elmetto troveranno attuazione, passerà tempo. La diversificazione delle fonti di approvvigionamento, il rilancio delle energie alternative (si torna a finanziare l’eolico), addirittura il frettoloso ritorno al carbone sono strade che necessitano di passaggi ponderati.

Paghiamo adesso i tanti no detti a prescindere da chi non ha mai voluto la modernizzazione dell’Italia, in nome di improbabili quanto illusorie decrescite felici o di pregiudizi antiprogressisti, basati su impuntature ideologiche e fazionismi un tanto al chilo. Intanto, il Paese corre il rischio di sprofondare. E il Sud corre questo rischio due volte. Perché, banalmente, in periodo di crisi è la parte economicamente più debole a correre più velocemente all’indietro, ma anche perché una guerra che fosse immediatamente successiva alla gravissima crisi scatenatasi con la pandemia, metterebbe definitivamente ko il Mezzogiorno. Rischiando di far saltare in aria prima del tempo l’ultima ciambella di salvataggio a cui il Sud si era disperatamente aggrappato per non morire: il Pnrr.

Se, infatti, continuasse inesorabile la escalation in atto che, pur non estrinsecandosi in termini di guerra diretta dell’Europa, prolungasse la scriteriata rincorsa verso un aumento ingestibile dei prezzi delle materie prime, ci avvieremmo a decretare la morte del Pnrr per come è stato finora concepito, perché il sistema imprenditoriale italiano non sarebbe in grado di attuarlo concretamente. E ad assistere alla fine del Mezzogiorno. Il blocco dell’attività delle imprese sarebbe inesorabile, così come la conseguente disoccupazione e tutte le prevedibili “turbolenze” di ordine sociale dovute alla carenza di reddito e di produzione. Uno scenario da incubi, che deve essere evitato a tutti i costi. In tale scenario, il Sud si troverebbe nuovamente a recitare il ruolo cui spesso, anche per colpe proprie, è stato costretto da eventi esterni o da scelte inconsapevoli. Quello della vittima sacrificale. Di una rappresentazione che questa volta, però, non prevede repliche.

Fonte: https://napoli.repubblica.it/cronaca/2022/03/15/news/la_crisi_mette_a_rischio_il_pnrr-341505601/?rss

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