
La povera Italia di anni lontani è mito d’imprese straccione in un film che fece storia, e diventa ora teatro per lo spasso che un pizzico di malinconia non cancella. È in scena al Diana, prodotto dalla Cooperativa Gli ipocriti / Melina Balsamo, “I soliti ignoti” che Antonio Grosso e Pier Paolo Picciarelli hanno riscritto lavorando d’ingegnosa sintassi sulla sceneggiatura che Mario Monicelli, Suso Cecchi D’Amico e Age & Scarpelli firmarono nel 1958. Italia depressa della periferia romana, tutta sogni e miseria, vite tirate coi denti, sbruffonate necessarie per sopravvivere, amori rubati e vissuti in riporto e amicizia di gentilezza bugiarda.
Così la scena che Luigi Ferrigno a creato ha la tristezza della nuova periferia e costringe gli attori come in una gabbia che sa già di prigione, così la regia di Vinicio Marchionni ha lavorato a inventare per dare ritmo all’azione della nuova “banda” raccattata alla meglio, così gli attori tutti, Giuseppe Zeno e Fabio Troiano, con Salvatore Caruso, Marilena Anniballi, Antonio Grosso, Ivano Schiavi Paolo Giovannucci e Vito Facciolla costruiscono incontri e scontri epocali di parole e di imprese. Ci sono insomma Peppe detto il pantera, Tiberio, Capannelle, Feribotte. Chi se li ricorda? Con i loro maldestri compagni di avventura furono gli eroi di quel film, e quindi c’è una eco lontana nel loro lavorare di fino.
Nelle loro invenzioni c’è la memoria che non si cancella e che qualche volta è addirittura citazione devota. Nessun peccato ché dimenticare atmosfere e geniali intuizioni di quei grandi attori che fecero il cinema alla metà del secolo scorso sarebbe peccato. Riadattare un “classico” è impresa difficile, assistere però ad uno spettacolo con gli occhi distanti dell’ieri è errore e tranello che bisogna evitare. Allora via di corsa, cogliendo occasioni con benevola attenzione e sorridendo di gusto alle avventure degli amici di borgata, ai loro amori arruffati, alle rivalità cresciute in un bar, ai sogni che illudono un poco e per poco.
Sembra che quella storia si avvicini e cancelli il furore maligno dei nostri giorni per farsi fiaba leggera, e che il “colpo” all’assalto del Monte di Pietà da parte di quella “banda” improbabile diventi esemplare immagine di un’aspirazione alla ricchezza, popolare e inconcludente. È solo il racconto di un sogno che non s’avvera, di un’impresa destinata al fallimento, di una notte senz’altra qualità che quella di una disperata comicità. Qualche momento di statica raffinatezza rallenta il ritmo, ed è un peccato, ma il gioco degli attori è encomiabile; quello di Giuseppe Zeno innanzitutto, per pudica adesione e allegria d’invenzione, spudorato e bugiardo a sembrare e mostrare, ladro rapace di sentimenti e simpatia.
La squadra vince, ma tra loro Salvatore Caruso eccelle in colore e memoria, Antonio Grosso in tenerezze smargiasse, Ivano Schiavi in imbrogliona buffoneria irresistibile, e Marilena Anniballi nella grazia dei suoi due personaggi femminili ha doppio corpo e psicologie differenti. I costumi di Milena Mancini e le musiche di Pino Marino aggiungono sapore e colore. Un piacere ed un divertimento per lo spettatore che sta al gioco e sorride di gusto. Repliche fino a domenica; calendario ed orari sul sito www.teatrodiana.it.