Hanno occhi chiari che lacrimano, spesso, e quando sorridono è solo per manifestare l’orgoglio di esserci, nonostante tutto, con una striscia gialloblù dipinta sulle guance o le mani giunte, come per una silenziosa preghiera collettiva.

Con sobria compostezza ucraine e ucraini di Napoli raccontano, attraverso il reportage di Raffaella De Luise, i lunghi giorni di angoscia e coraggio: sembra vicinissima quella terra lontana dove figli e mariti, parenti e amici danno forza alla resistenza all’invasione russa. E ci si consola avvicinandosi l’un l’altro, annullando le distanze della pandemia, e condividendo le informazioni che arrivano dai social e dalle telefonate.

Ci sono tanti bimbi, volti rigate dalle lacrime: che infanzia è, l’infanzia che deve fare i conti con le conseguenze della guerra? C’è soprattutto un filo conduttore, in questo popolo sofferente che popola piazza del Plebiscito e che si ritrova, tutti i giorni, in più angoli della città: l’idea che sia giusto difendere i propri confini e la propria libertà, manifestando soprattutto quel malcelato orgoglio per chi è rimasto a Kharkiv e a Odessa, a Kiev e a Dnipro.

E tra le mani, quando non sono intrecciate, spuntano l’acqua santa (l’effigie della Madonna è gettonatissima) e il diavolo. Che, neanche a dirlo, s’incarna in Putin. Poteva essere altrimenti?