
Il figlio di 32 anni è morto sul lavoro e lei, l’anziana madre aspetta giustizia da cinque anni. È una storia che approda a sorpresa in Senato perché la ministra della Giustizia, Marta Cartabia ha scelto l’appello di Annunziata “Nunzia” Cario, 76 anni, per aprire la sua relazione annuale al Parlamento sullo stato della Giustizia. Nunzia le ha scritto a marzo scorso. ” Il nostro processo, sul cui merito non mi permetto di darle notizie, né di chiedere il suo intervento – dice nella lettera appello – è a stento iniziato e non si riesce a celebrare, nonostante rientri in quelli cosiddetti a trattazione prioritaria, visti i reati contestati (…) Con questa cadenza il processo di primo grado durerà numerosi anni”.
“La storia di questa anziana madre – ha detto Cartabia in Senato – è una storia paradigmatica e dà voce a tanti altri cittadini, vittime e imputati. E anche a tanti imprenditori e lavoratori “. Il figlio di Nunzia si chiamava Roberto Morelli, faceva l’autista per una ditta di Napoli. Il 29 maggio del 2017 è rimasto schiacciato da una balla di bottiglie di plastica pressate che stava caricando su un camion in uno stabilimento a Castelnuovo Vomano, in provincia di Teramo. Al processo c’è molta omertà. E chi ha provocato la morte di Roberto non ammette alcuna responsabilità. Importante è il ruolo dei testimoni. Sinora sono una ventina quelli ascoltati. Ma ora è tutto fermo. La prossima udienza è fissata per il 15 marzo.
“Roberto era l’ultimo di sei figli – racconta la signora Nunzia, con accanto i due figli Domenico e Gennaro – Viveva con me. Ed era tutto. Mi teneva compagnia, era il mio sostentamento economico dopo che un anno e mezzo prima era deceduto anche mio marito. Il processo per la sua morte non si riesce a celebrare. Eravamo quasi alla fine del primo grado di giudizio, ma di colpo si è fermato tutto. Ora la prossima udienza è stata programmata a marzo prossimo. Speriamo che questa attenzione che ci ha dato il ministro ci aiuti nel percorso di giustizia. Quando le ho scritto non me l’aspettavo che mi rispondesse. Non posso fare altro che ringraziarla per tanta attenzione”.
Ogni tanto la signora si ferma. La sua voce è rotta dall’emozione. Poi lentamente riprende a raccontare del suo Roberto. “Ho troppo dolore. Non riesco a farmene una ragione della sua morte. Di mio figlio conservo tutto: I vestiti, le cravatte e finanche le bottiglie di profumo. Ogni tanto, vado ad annusare i suoi vestiti, il cuscino dove dormiva. Sento il suo odore. Mi dà sollievo. Ma sono sempre sola e questo non fa altro che ricordare la sua assenza. Gli altri miei figli sono sposati. Vengono a trovarmi, ma non è la stessa cosa. Da quando è morto vado tutti i giorni al cimitero – dice ancora con un filo di voce Nunzia – non riesco a farne a meno. Prima di morire vorrei vedere la fine di questo processo. Vorrei sapere come e da chi è stato ucciso mio figlio. Nessuno me lo restituirà, ma un giorno vorrei andare sulla sua tomba e dirgli: ora puoi riposare in pace, perché giustizia è stata fatta”.