Nel 1995 l’economista romano Alessandro Leon fu incaricato dal Comune di redigere uno studio di fattibilità sulle destinazioni d’uso dell’Albergo dei poveri con la società Cles srl (Centro di ricerche e studi sui problemi del lavoro, economia e sviluppo). Nel 1996 lo studio era pronto: 173 pagine di analisi e i proposte rimasto nel cassetto. Professore alla Iulm e all’università Roma 3, segretario generale dell’Associazione per l’Economia della cultura, ad Alessandro Leon chiediamo la sua idea sull’attuale dibattito e sulle proposte sul tavolo.
“Il progetto per il recupero con i fondi Pnrr è molto grande ma senza che si sia veramente deciso cosa fare. Non ho trovato alcun dettaglio anche sulla cosiddetta Città dei giovani”.

Il suo studio come affrontava il problema?
“Ci fu una lunghissima ricognizione che andrebbe rifatta, decine di esperti al lavoro per raccogliere le idee. Coinvolti: università, la Regione, anche con l’Istituto per gli studi filosofici, e soprattutto i soprintendenti che avevano competenza sull’edificio cercando di capire cosa c’era in pentola”.
Qual era il contenuto, in sintesi?
“Pubblicammo le tante idee della città sul monumento. Chiaro che un edificio così grande (103 mila metri quadri, 750 mila metri cubi) non può non avere destinazione polifunzionale, il punto di partenza però era dimostrare che alcune idee non avevano senso: la prima era spostare gli uffici regionali, un pezzo dei quali erano già stati portati nel Centro direzionale. L’altra era destinarlo a sede dell’università, che all’epoca non era neppure d’accordo. Quindi si è dovuto proporre tutt’altro: il Museo del Mediterraneo. Siamo nel 1996, l’Unione europea come è strutturata oggi non era ancora nata, Napoli sembrava destinata a fare da ponte, il ministro dei Beni culturali all’epoca era Veltroni. Si pensò a un luogo dove si lavorasse operativamente sui musei di tutti i paesi affacciati sul Mediterraneo. Girai per le soprintendenze e mi resi conto che c’erano depositi culturali, archeologici e relativi ad altre materie: si poteva costruire un grande museo tematico”.
I musei oggi soffrono per carenza di personale, le dimensioni dell’Albergo dei poveri non le sembrano poco incoraggianti in tal senso?
“Bisognava trovare una funzione d’uso di grandissima importanza, un tema culturale che non fosse quello già svolto dal Mann e dagli altri siti per l’archeologia. Un altro proposito era quello di realizzare in parte dell’edificio una residenza, creando un Albergo della Cultura, come in Spagna. L’Albergo dei poveri si presta a modifiche non possibili in altri beni culturali. Parlavamo anche di residenze universitarie, visto che in origine era un grande collegio, e anche oggi si potrebbe riflettere su questo.
Mancano anche gli archivi, a Napoli. Ma se si sposta lì la Biblioteca nazionale, poi si crea un problema a Palazzo Reale: bisogna trovargli una funzione”.

Ma oggi che cosa sarebbe realistico?
“Bisognerebbe confrontarsi, rifare questa operazione, raccogliere tutte le idee ma discuterne. La cittadinanza andrebbe incontrata nuovamente, ma avendo fatto scelte e ragionamenti chiari, e con lo Stato presente, oltre al Comune. L’idea di una biblioteca non sarebbe sbagliata, ma il restauro va pensato di conseguenza: i solai devono reggere il fortissimo peso dei libri, ci vuole acciaio dappertutto”.
Tra le funzioni, lei quale auspicherebbe?
“Perché non costruire una realtà come le Scuderie del Quirinale, con mostre temporanee rivolte al Mezzogiorno?
Napoli oggi ha più attrattive che nel 1996. Se creiamo un nuovo polo a maggior ragione in un quartiere come Foria, che non brilla più: lì possono arrivare un milione di persone all’anno.
Va risolto il problema degli accessi, solo quattro, e delle poche vie di fuga. Ma abbiamo casi simili, come la Reggia di Venaria reale. Si può fare, se si vuole”.