Quarant’anni dopo era ancora lì, quasi del tutto integro, perché i tempi di biodegradazione della plastica sono lunghi, lunghissimi. Così, dopo quattro decenni in cui ha fluttuato tra le onde, depositandosi sui fondali, un sacchetto di patatine è stato finalmente ripescato nelle acque del golfo di Napoli, a 160 metri di profondità. L’ha tirato su un pescatore di Ercolano, Davide Remigio De Gaetano, e non deve essergli parso vero ritrovare, tra cicale di mare e gamberetti, quel rifiuto che è quasi un reperto, con data di scadenza in evidenza ( novembre 1983) e uno slogan d’antan che inneggia ai puffi. Il cui proprietario – avrà pensato – se allora era quindicenne oggi di anni ne ha 55. Una vita, o quasi, senza che il mare abbia elaborato quel corpo estraneo, che finalmente non gli appartiene più.

« Non è la prima volta che trovo rifiuti particolarmente datati » , fa spallucce Davide, che con i suoi 26 anni incarna la terza generazione di una dinastia di pescatori: il suo peschereccio, Marilibera, fa base al Granatello di Portici. «Una volta ho trovato un involucro di liquirizie del 1979, con le reti a strascico tiriamo su di tutto » , racconta. Nella sua specialissima collezione figurano, tra gli altri, anche un pacchetto di Yonkers di fine anni ’80 e una bottiglia di birra dalla più complessa datazione, certamente non meno di trent’anni. « Tra Capri e Ischia, al banco di Bocca Grande, c’è un vero e proprio cimitero sommerso di bottiglie di vetro. – aggiunge Davide – A chi, come me, ama il mare episodi del genere fanno male al cuore. Spero però che arrivino normative che aiutino noi pescatori a recuperare rifiuti. Alcuni di noi, per evitare sanzioni, sono obbligati a rigettarli in mare».
« Rifiuti che impattano sugli ecosistemi e possono risultare fatali agli organismi marini. – denuncia Mariateresa Imparato, presidente di Legambiente Campania – Sacchetti come quello si degradano dopo decenni ma intanto rilasciano microplastiche molto pericolose, che veicolano inquinanti nell’ecosistema e nella catena alimentare » . A settembre un ischitano pescò un tonno alalunga al largo di Forio, trovando nello stomaco una siringa d’ospedale intatta; nel 2018 nello stomaco del capodoglio Leopoldo, spiaggiato sulle coste dell’isola, furono rinvenuti ingenti quantitativi di plastica. Ancor più sorprendente l’esame dello stomaco di una tartaruga marina morta a Marina di Camerota, in Cilento, nel febbraio 2019: dentro c’erano sette filtri di plastica di un depuratore, un bicchierino di caffè, una confezione di M&M’s e un’etichetta in arabo, perché il mare – si sa – non ha confini. Più una pattumiera che uno stomaco, insomma. Stavolta il rifiuto quarantennale è stato ritrovato prima che facesse danni e, singolarmente, proprio nei giorni in cui è scattato in Italia il divieto di mettere in commercio i prodotti in plastica monouso se non realizzati in materiale biodegradabile e compostabile conforme alle nuove norme, con percentuali di materia prima rinnovabile uguali o superiori al 40% (dal 2024, al 60%).
«L’interazione tra rifiuti e organismi marini è impressionante, nel golfo di Napoli – sottolinea il fotografo e biologo Pasquale Vassallo – Ho visto vecchi residui di pneumatici con uova di pesci, polpi che utilizzano rifiuti d’ogni tipo, l’ormai celebre seppia col preservativo. Ed è solo la punta dell’iceberg: ciò che non vediamo sono le microparticelle, che rischiano di finire nei nostri piatti ». Oggi l’80% dei rifiuti rinvenuti nelle spiagge europee è costituito da plastica, il 50% dei rifiuti marini da plastiche monouso. La cosiddetta “marine litter” è un problema rilevante sulle coste della Campania, come testimonia l’ultima indagine di Legambiente, “Beach Litter 2021”, che ha rilevato una media di 947 rifiuti ogni 100 metri lineari di spiaggia. Nella top ten, mozziconi di sigarette, frammenti di plastica e polistirolo, tappi, coperchi e cotton fioc. Con una new entry importante: nel 71% dei lidi sono stati trovati guanti usa e getta, mascherine o altri oggetti riconducibili alla pandemia. Quanto basta per provare a cambiare rotta. Perché il mare divora tutto, e non sempre restituisce.