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“Non lasciare mai nessuno indietro: per Luca Attanasio non c’era altro modo per essere ambasciatori”

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Non c’è una foto in cui Luca Attanasio, l’ambasciatore barbaramente assassinato in Congo, non sorrida. Lo ha notato anche don Antonio Toriello che ieri sera a Licusati, piccola frazione di Camerota, ha voluto ricordarlo con una messa in suffragio nella chiesa di San Marco Evangelista, la stessa chiesa dove Attanasio lo scorso mese di ottobre, ritirò il Premio Internazionale Nassiriya per la Pace, assegnato dall’associazione che presiedo.

Per lui fu l’ultimo evento pubblico in Italia, l’ultimo discorso. E fui io a consegnarli il Premio. A pensarci mi viene un vuoto allo stomaco. Alla cerimonia arrivò con qualche minuto di anticipo, mi aspettò dinanzi alla chiesa con la moglie Zakia. Aveva già fatto amicizia con tutti i presenti. “Piacere sono Luca”, si presentava così alle persone del posto che lo guardavano con curiosità. Nessun abito elegante. Una camicia e un maglioncino sulle spalle. Perché Luca oltre ad essere un diplomatico giovane e preparato, era innanzitutto una persona semplice, gioiosa. Amava confrontarsi, parlare con la gente.  “Essere ambasciatore – raccontò quella sera – significa non lasciare indietro nessuno. In qualsiasi parte del mondo”. 

“E’ una missione, a volte anche pericolosa, ma abbiamo il dovere di dare l’esempio” spiegò. E poi rivolgendosi ai giovani: “In Congo parole come pace, salute, istruzione, sono un privilegio per pochissimi, e oggi la Repubblica Democratica del Congo è assetata di pace, dopo tre guerre durate un ventennio. Il nostro ruolo è stare vicino agli italiani, un migliaio in tutto, per la maggior parte missionari e qualche laico, che vivono tutti insieme condividendo il destino degli abitanti congolesi. Io e mia moglie viviamo in Congo con tutta la famiglia, con tre bambini piccoli. Qualcuno si stupisce di questa scelta, soprattutto per i rischi che comporta, ma è nostro dovere dare l’esempio”. Dopo la cerimonia di premiazione ci fermammo a cena insieme. Parlammo del Congo, delle difficoltà. Ma anche dei tantissimi progetti messi in cantiere, di tante belle iniziative avviate. Gli brillavano gli occhi. E non solo a lui.

Anche alla moglie Zakia, altrettanto valorosa e coraggiosa con la quale aveva fondato l’ong Mama Sofia. “Insieme siamo più forti” sorrideva. Riuscii a convincerlo a fermarsi un altro giorno a Camerota. Effettuammo insieme un’escursione lungo la costa. Lo portai sul rudere di un’antica torre saracena con vista mozzafiato su Cala del Cefalo, con sullo sfondo Capo Palinuro.

“Lo vedi questo mare? – disse – Appare calmo ma se si arrabbia diventa pericoloso. Così è il Congo in questo momento”. Ci salutammo con un abbraccio.

Ci siamo sentiti diverse volte in questi mesi; mi aveva invitato a raggiungerlo in Congo durante il periodo di Natale per un reportage. Ma a causa della pandemia il viaggio è saltato. Allora mi aveva promesso di tornare in primavera, con tappa obbligatoria a Napoli, città natale del nonno materno. Ma l’ultimo messaggio su whazap mi pietrificò: “Questo sarà un anno difficilissimo per il Congo, incrociamo le dite e preghiamo”.

Fonte: https://napoli.repubblica.it/cronaca/2021/02/23/news/ambasciatore_congo_attanasio_ucciso-288874239/?rss

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