
Caro direttore, il dibattito nato dalle clamorose dimissioni di Zingaretti credo non abbia, ad oggi, chiarito un evidente equivoco: il Pd nasce al Lingotto di Torino nel 2007 non certo come ulteriore evoluzione ed adeguamento al nuovo millennio del principale partito di sinistra fino ad allora conosciuto nel nostro Paese: il Pci, Pds, infine Ds. Chi ricorda l’elaborazione teorico-culturale del suo leader naturale, Walter Veltroni, riconoscerà che non era quello l’obiettivo di tale ambiziosa, impervia impresa. Con la fondazione del Pd non si intendeva allestire una operazione di maquillage politico- culturale, ma dar vita ad una soggettività radicalmente inedita: una sorta di “reductio ad unum” delle principali componenti del riformismo italiano, quella socialista, soprattutto di derivazione postcomunista, quella cattolico-democratica e quella laico-moderata.
Non una Bad Godesberg in salsa nostrana. Un partito fortemente deideologizzato, a vocazione maggioritari, fortemente leaderistico, Veltroni da noi, oltreoceano i riferimenti erano Kennedy, Clinton, prima dell’avvento di Obama. Rammento bene quegli anni, a me apparve subito chiaro come non ci si intendesse limitare ad una netta cesura con la vicenda storica del comunismo italiano, ma spingersi a chiudere persino la stagione della svolta della Bolognina. Non si trattava più della ennesima declinazione organizzativa in cui fissare la forma partito di una soggettività che guardasse al “blocco sociale” storico della sinistra italiana, la classe operaia (ancorché in rapidissima trasformazione), il ceto medio impiegatizio, l’ intellettualità, i cosiddetti “corpi intermedi”, sindacati, associazionismo ecc, ma un suo profondo superamento. Cos’ era il “ma anche” di veltroniana memoria, se non il tentativo di guardare alla borghesia produttiva, alle nuove categorie sociali e alle diverse forme di precarietà emerse con la globalizzazione e con la rivoluzione informatica e digitale? Altro che partito del leader.
Il Pd dopo Veltroni ha visto avvicendarsi alla segreteria Franceschini, Bersani, Epifani, Renzi, Martina, Zingaretti, in meno di 14 anni ha bruciato 7 leadership. Senza indulgere alla nostalgia faccio notare che Enrico Berlinguer è stato segretario del Pci dal 1972 all’84 e De Gasperi ininterrottamente leader Dc e capo del governo dal 1945 al 53! Vocazione maggioritaria? Ebbene il Pd, dalla sua fondazione ad oggi, non ha vinto una sola elezione. Le recenti dimissioni di Zingaretti scontano di sicuro i limiti e la fragilità dell’accordo strategico con i 5 Stelle e la precipitosa investitura su Conte (oggi leader dei grillini) “riferimento unico dei progressisti”, ma rappresenta anche l’epilogo, qui ha ragione il mio amico Allodi, di una lunga, travagliata stagione politica. Come se ne esce?
A parer mio non con operazioni nostalgiche, il mondo del millennio scorso è stato definitivamente travolto, ma nella consapevolezza che sia indispensabile innovare profondamente il cosiddetto “campo della sinistra”, che ha bisogno di nuovi orizzonti valoriali, recuperando il meglio della esperienza storica non solo del post comunismo riformatore ma anche del socialismo (espressione impronunciabile fino a poco fa) gradualista e di governo, penso allo straordinario valore dell’esperienza di sindaco di Milano di Carlo Tognoli, che ci ha appena lasciati. Il cattolicesimo democratico, il riformismo socialista e liberale devono coltivare ed alimentare ciascuno il proprio campo e innovare profondamente il proprio patrimonio identitario e valoriale ed allearsi, mostrandosi capaci di leggere e rappresentare l’ Italia del terzo Millennio.
Fonte: https://napoli.repubblica.it/cronaca/2021/03/11/news/pd_campania_rinnovare_i_valori-291791232/?rss