Il mare non è un supermarket. E per il cenone di Capodanno lasciarsi ispirare dalla stagionalità del pescato, rinunciando ai grandi classici, può essere utile e conveniente. È il primo accorato suggerimento dello chef Pasquale Palamaro, una stella Michelin con il suo ristorante Indaco del Regina Isabella, a Lacco Ameno, e convinto ambasciatore della cucina di mare, che traduce in piatti spesso fantasiosi e in una fortunata linea di salumi di mare.

“Il segreto? Un rapporto diretto con i pescatori. Parlo per ore con loro, mi raccontano di com’è andata la notte e mi propongono il pescato. E non contratto mai, perché rispetto il loro lavoro. Soprattutto acquisto anche quel che non mi serve, accettando che sia il mare a ispirare il mio menu”.

No al last-minute
A poche ore dalla vigilia, mentre s’affollano pescherie e mercati, è proprio lui a proporre ai lettori di Repubblica un piccolo vademecum per la cena di Capodanno. Partendo da un’indicazione fondamentale: “Il mare – dice – non sa che sono giorni di festa. E ci dona la stessa quantità di pescato degli altri giorni, mentre cresce a dismisura, in misura esponenziale, la nostra richiesta. Un primo consiglio è dunque quello di non ridursi all’ultimo minuto, visto e considerato che i pescatori intensificano la loro attività anche nei giorni pre-festivi. Arrivare prima significa, soprattutto, avere più scelta. E poi, laddove possibile, privilegiare i piccoli pescivendoli alla grande distribuzione”.

Grandi classici? No grazie
Ci sono alcuni “must” del cenone di Capodanno, a Napoli e dintorni: scelte quasi obbligate nell’immaginario collettivo. O forse no. “Perché possiamo anche cucinare con un pizzico di fantasia, allontanandoci dal diktat della tradizione e da quel che facevano nonne e mamme. – spiega Palamaro – Per esempio i nostri primi possono essere insaporiti da brodi e sughi di pesce povero di piccola taglia, quello che solitamente i pescatori e i pescivendoli vendono a prezzi stracciati o – capita spesso – rigettano addirittura in mare, per la gioia dei gabbiani. E invece uno spaghetto, un risotto o una minestra maritata di mare, insaporiti da pesci meno noti al grande pubblico, sono soluzioni economiche e – garantisco – saporitissime”.
Qualche esempio? “Segnatevi questi nomi: perchia (Serranus cabrilla), boga (Boops boops), bocca d’oro (ombrina boccadoro, Argyrosomus regius il nome scientifico), verdone (conosciuto anche come tordo marvizzo, Labrus viridis il nome scientifico). Alternative low cost e sostenibili alla gettonatissima spigola”.

Pannocchie come e più di astici e aragoste
E non finisce qui. Perché Palamaro, classe 1978, profeta in patria (si è diplomato all’istituto alberghiero Telese di Ischia) e ambasciatore dell’enogastronomia dell’isola nel mondo insieme all’amico Nino Di Costanzo, due stelle Michelin con “Danì Maison”, suggerisce anche un’alternativa più local al gambero rosso di Mazara, altro grande classico sotto al vischio, o giù di lì. “Il nostro gambero bianco di paranza, che si pesca in quantità nel Tirreno, costa anche appena dieci euro al chilo ed è ottimo fritto, alla griglia o per insaporire la pasta”. Perché il principio è semplice: “Quel che è più richiesto, costa di più. Diventa quasi introvabile. Così è per il polpo, gettonatissimo nelle insalate: solitamente a Napoli o sulle isole lo si trova a 12 euro al chilo, in questi giorni – con il mercato “dopato” dalle richieste – arriva anche a costarne 25″.

E nelle cene luculliane con cui si saluta l’anno che vola via un antico retaggio di opulenza e ‘savoir vivre’ è senz’altro veicolato da astici e aragoste. “Alt – ammonisce ancora Palamaro – perché anche qui l’alternativa è semplice, gustosa e decisamente economica. Le pannocchie (o canocchie, o cicale di mare, ndr) sono abbondanti nel golfo di Napoli, soprattutto dopo qualche giorno di maltempo. E fidatevi di me: non hanno nulla da invidiare – arrostite o a insaporire un risotto o uno spaghetto – alle loro ‘cugine’ più ricercate, a fronte di una spesa di circa dieci euro al chilo, mentre per aragoste e astici si parte dai sessanta per arrivare, in alcuni casi, fino a cento”. La parola chiave è dunque “creatività”. Non a caso proprio Palamaro ha immaginato, con visionario trasporto, di declinare la cernia come il coniglio all’ischitana “perché è un pesce che in fondo gli assomiglia: attraversa i cunicoli, si nasconde dai predatori, diventa inafferrabile. E poi i salumi di mare. In fondo il mare è un mondo capovolto: conoscerlo dà grandi soddisfazioni. Per questo – confessa – voglio imparare a fare subacquea, sconfiggendo una delle mie paure: sono sicuro che lì sotto si celano mille soluzioni nuove da tradurre in piatti straordinari”.

Per chi non rinuncia alle ostriche
Il che non vuol dire, naturalmente, rinunciare – in alcuni casi una volta all’anno – al proverbiale ‘sfizio’. E per gli ostriche-addicted, lo chef stellato di Indaco ha qualche piccolo suggerimento. “Privilegiare le pezzature piccole è la regola numero uno. Per il mercato italiano, bisogna indirizzarsi sulla speciale Varuni e sulla speciale di San Teodoro. Suggerite anche la Caromandel, dalla Nuova Zelanda, e la Pemaquid dagli Stati Uniti. Sul mercato francese, invece, la Boudeuse David Herve e le ostriche idéale di David Hervé, carnose e croccanti”. Per brindare al nuovo anno, senza rinunciare al gusto. “Ricominciando però dalla sostenibilità del pescato, perché il mare – dice Palamaro – bisogna saperlo ascoltare”.
