Il titolo è stato cambiato di corsa. Il dialogo diplomatico, attivato subito. Il messaggio partito dal più antico (e bel) teatro del mondo è stato ribadito di domenica sull’asse Napoli-Roma. “Noi del San Carlo, con la città di Napoli, siamo accanto al popolo ucraino che soffre”.

Un incidente risolto dal soprintendente del San Carlo, Stephane Lissner – d’intesa col sindaco Gaetano Manfredi, primo socio del lirico partenopeo – proprio mentre rientrava da Parigi alla sua casa napoletana. “Spero che sia tutto chiarito. La nostra intende essere una iniziativa assolutamente umanitaria in favore dell’Ucraina”, dice a Repubblica. “Il concetto di pace era nel titolo per denunciare l’inaccettabilità di questa ferocia. E da poche ore abbiamo negli occhi anche la distesa dei morti civili di Bucha. Quindi sono il primo a prendere posizione contro chi ha invaso. Però dico anche, attenzione: i ballerini russi che, come me, non condividono questa assurdità non meritano di essere allontanati da un palco. Né la grande cultura russa merita la demonizzazione: saremmo matti”.
Stephane Lissner, un Balletto rischiava di dividere anziché unire?
“No, spero proprio che questo non accada mai. Il San Carlo, come tutti i teatri e i luoghi che nel mondo onorano e promuovono la cultura anche come ponte tra popoli, saranno sempre simboli che si levano alti contro la barbarie, contro i crimini di di guerra, contro le ingiustizie e la distruzione dell’umanità, specie di quella più fragile”.
Quindi, è rimasto sorpreso dalla dura presa di posizione del console ucraino, Maksym Kovalenko, sulla vostra iniziativa?
“Forse, solo per i primi attimi. Poi ho letto attentamente ciò che il console Kovalenko ricordava con la sua missiva alla città di Napoli: i loro bambini uccisi o mutilati, alcuni dei quali curati in ospedali italiani o accolti in famiglie napoletane; i loro concittadini deportati, le troppe strade, i palazzi e le città distrutte, da cui ogni giorno ci arrivano dolorose immagini. Quindi, capisco il console”.
Al San Carlo il primo ballerino dell’Opera di Kiev: “Non ho più una casa, la vita per me è cambiata”

Poi ha sentito anche col Ministro della Cultura di Kiev?
“Sì, ci siamo parlati. Meglio, ci siamo scritti. Credo che abbiano comunque riconosciuto le ottime intenzioni del San Carlo. Loro temono che le parole pace e riconciliazione significhino “chiudere un occhio sulle atrocità”. Ma intendo rassicurare ministro, console, a nome di tutti: siamo contro le atrocità di questa guerra , contro i crimini degli aggressori russi, questa guerra voluta da Putin è pura follia”.
Com’era nata l’idea di mettere su un palco ballerini ucraini e russi?
“Siamo partiti dalla volontà di una mobilitazione pro-Ucraina, concreta: raccogliere fondi, grazie al talento di questi danzatori. L’arte, per sua stessa definizione, coltiva il bene delle comunità, ne preserva l’umanità. E non dimentichiamo che proprio sul nostro palco, qualche giorno dopo l’inizio della guerra, il soprano ucraino Monastyrska e il mezzosoprano russo Gubanova, si erano abbracciate al termine dell’Aida, con gli spettatori che gridavano “Pace”. Un momento toccante che non dimenticherò”.
Quindi avevate organizzato il gala: Ballet for Peace. Poi?
“Dopo le lettere, abbiamo analizzato insieme. La “pace” per noi non è mai stata parola neutrale. Ma la situazione è così grave, così tragica dopo un mese e dieci giorni, che il popolo ucraino ha troppe e devastanti ferite aperte. Quindi, per evitare qualunque equivoco sulla lettura dell’iniziativa, abbiamo cambiato l’invito. Da Ballet For Peace in quello di #StandWithUkraine “.

Che richiama il titolo coniato dalla presidente Von der Leyen.
“Sì, la campagna globale che la Commissione europea ha lanciato per il fundraising è Stand Up For Ukraine. Ed ecco il valore aggiunto: da noi la Smirnova, che ha lasciato il Bolshoi di Mosca per protesta, e la Gurskaja, prima ballerina di Kiev. Non c’è dunque una nostra posizione politica, ma umanitaria, perché siamo un’istituzione culturale pubblica”.
Nel mondo della cultura, anche la lirica ha avuto i suoi scossoni: chiedendo ai russi di dissociarsi.
“Sì, mi lasci prima dire in premessa che sono tantissimi gli artisti russi che vivono da decenni a Berlino, a Vienna, a Parigi o Londra e che soffrono, non sono affatto in linea con Putin. E alcui hanno avuto il coraggio di schierarsi. Ma la cultura russa è comunque importantissima: ha un passato, dovrà avere un futuro, come tuttii popoli, oltre la barbarie seminata oggi da un dittatore”.
Il grande soprano Anna Netrebko, di cui pure Putin è ammiratore, alla fine l’ha condannato.
“Sì, una scelta che ammiro, quella giusta”.
Non lo ha fatto, invece, il direttore Valery Gergiev: che pare ormai aggiungerà alla sua direzione del Mariinsky anche quella del Bolshoi, da cui si è dimesso proprio per protesta da Tugan Sokhiev.
“Sembra proprio di sì… L’ho letto anche io, triste”.
Ammesso avesse voluto coinvolgerlo, oggi non chiamerebbe Gergiev?
“Devo dire di no. A distanza di quaranta giorni di guerra, di fronte a queste atrocità, lui può anche stare in silenzio, ma noi possiamo trarne delle letture, altrettanto legittime. Per questo, oggi non lo chiamerei .
L’arte non può che essere contro il crimine”.