
C’è una parete di vetro che chiude la scena ma non impedisce lo sguardo e l’ascolto. C’è una morte con ali d’uccello che gira d’intorno e consola chi sta per lasciare la vita, c’è un uomo nel letto di morte che cerca il respiro, sospeso a mezz’aria è come lievitasse lasciando la vita da basso. C’è chi suona una musica dolce e chi gioca a carte per trascorrere il tempo ultimo della vita malata. È “Hospes, – Itis” che Fabio Pisano ha affidato alla poesia visionaria di Davide Iodice e dei suoi tanti compagni di viaggio usciti da poco dall’incubo grande di mesi in silenzio.
“Hospes, – Itis” di Fabio Pisano apre la stagione del Teatro San Ferdinando, costola strategica e bella del Teatro di Napoli – Teatro Nazionale che Roberto Andò dirige e indirizza tracciando la sua linea poetica, attenta certo alle drammaturgie nuove e che da questa città parlano alle platee nazionali. Non a caso infatti questo “Hospes, – Itis”, scritto nel 2018, stranamente profetico, ricco d’intuizioni dolenti e contenuti sorrisi, ha vinto nell’anno seguente il “Premio Hystrio-scritture di scena”.
Davide Iodice, assecondando ancora una volta il suo abituale percorso di regia che s’impadronisce di testi per renderli visioni e illusioni di teatro, si è liberato anche stavolta dalla sintassi rigorosa delle parole di Pisano per restituircele in sapienti frammenti ed affascianti sequenze. Il luogo è la casa di cura in cui uomini e donne sconfitti nel corpo, ancora forti nello spirito, fragili nella mente e nei sentimenti, trascorrono ultimi giorni inquieti. Hanno i nomi delle loro malattie, Parkinson, Lemierre, Rohhad, corrono veloci sulle loro sedie a rotelle, lucenti come fuoriserie di lusso, trascorrono il tempo come fosse un gioco d’attesa. Non cancellano dentro di loro il desiderio e il sorriso. Li seguono, premurosi ed attenti, un direttore, un dottore, un’infermiera, un factotum, prigionieri essi stessi, ma sani con la vita un po’ ottusa, avvilita e compressa.
Ognuno di loro ha rinchiuse vecchie storie e segreti. Ognuno ha silenzi e sospiri che cercano di dare aria ai polmoni e sollievo alla mente. Questo sospiro che Davide Iodice consegna agli attori è come un pulsare, un esorcismo, un segreto, un metronomo sghembo che segna il nostro tempo ed il loro che passa veloce. Lo si direbbe parte della musica che accompagna l’azione, sinfonia teatrale, racconto in frammenti che si concede salti logici e non necessari legami, procedendo in sussulti, tra visioni irreali in cui la sintassi delle parole può muoversi libera e momenti ben fermi nella concretezza di una storia in contrasto di temperature emotive.
Tutto questo e molto altro è “Hospes, – Itis”, e quel che vince è certamente l’allusione sognante e inconcreta che lo sguardo di Davide Iodice ha scelto di avere. Complice ancora una volta la scenografia di Tiziano Fario che le luci di Loïc Francois Hamelin raggelano o infiammano, e i video di Michelangelo Fornaro dilatano e trasformano in panorami irreali, trasformando le immagini di una medicina che indaga il nostro dentro in territori dello stupore, come fossero boschi incantati che si svelano ad occhi inorriditi.
Paralleli affascinanti che solo il teatro concede, tra parole, pensieri, immagini vere che sembrano territori di irreali geografie. Daniele Salernitano veste di colori e allusioni gli attori, Orlando Cinque, Antimo Casertano, Aida Talliente, Angelica Bifano, Carolina Cametti, Daniel Dwerryhouse, Noemi Francesca, Damiano Rossi, Giulia Salvarani, Ilaria Scarano, Sebastiano Sicurezza, Emilio Vacca e Francesco Vitale, in questa non facile prova costruita da Davide Iodice, in cui il gioco irreale s’interseca con quello vero e concreto; ed invece le parti s’invertono e mutano nell’ansia del respiro che sembra fermarsi, nello squillo di un telefono, nel suono della musica che s’interrompe, nel gran gioco di una notte di fine anno, con i “botti” che dovrebbero dare gioia e speranza di giorni migliori, a chiudere lo spettacolo e le vite malate.
Alla “prima nazionale assoluta” finalmente giunta dopo mesi di rinvii e faticosi recuperi mai andati a buon fine, il pubblico ha salutato con un applauso convinto e liberatorio chi ha finalmente realizzato lo spettacolo, con passione convinta, bravura, lucida fatica e tenacia. Si replica fino a domenica 17 ottobre 2021