
«Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza». Dante, sette secoli fa, ha scolpito in un solo verso la condanna e la possibilità. Non siamo fatti per strisciare nella mediocrità, per arrenderci all’indifferenza, per sprofondare nell’ignoranza. E invece oggi, più che mai, sembra che la brutalità ci circondi, ci seduca, ci vinca. Viviamo in un tempo che ha ridotto l’esistenza a un algoritmo, la verità a una suggestione, la virtù a una posa. Si vive rincorrendo un successo spesso finto, un benessere apparente, una conoscenza sempre più fragile, sempre più “di superficie”.
E intanto si alzano muri, si moltiplicano gli scontri, si esaspera la paura. Viviamo nel tempo delle intelligenze artificiali, delle promesse digitali, dei miracoli ultra-scientifici. Ma dietro la patina tecnologica, i numeri rivelano il vuoto: in Italia oltre un quarto della popolazione non comprende un testo complesso, un dato da analfabetismo funzionale. Connessi ma ignoranti, iper-informati, ma incapaci di distinguere il vero dal falso. Ci rifugiamo in un successo finto, in un benessere da vetrina, in una conoscenza da spot commerciale. Intanto il mondo diventa più aspro. Muri che risorgono, conflitti che si accendono, disuguaglianze che si allargano. Si grida nei talk-show, ci si azzuffa sui social, si odia nei bar.
Dante ammoniva di non vivere da bestie. Eppure, ogni giorno assistiamo alla regressione: violenza nei pronto soccorso, brutalità nei palazzi della politica, con decreti che calpestano diritti e brutalità nei linguaggi, nei gesti, nei silenzi. Non è solo questione di scontri internazionali o di migranti lasciati affogare. Non è solo quella delle bombe o delle torture nei lager libici. È quella quotidiana che si insinua nei nostri rapporti. È il degrado quotidiano che ci investe. È l’assalto al diritto in nome della propaganda. È la cultura piegata all’intrattenimento. È la scuola impoverita. È il sapere svilito a slogan. È l’odio diventato identità.
Ma non tutto è perduto. C’è un’Italia che non urla, ma costruisce. Uomini e donne che si ostinano a restare umani: nei quartieri difficili, negli ospedali di frontiera, nelle scuole di periferia. Gente normale che non si rassegna all’indifferenza, che ancora si commuove, che ancora si indigna, che ancora resiste. Viviamo un paradosso: mai tanto accesso al sapere, mai così tanto smarrimento. Case piene di schermi e menti vuote di pensiero critico. Fiumi di parole e siccità di dialogo. Frenesia senza profondità. Eppure, la via indicata da Dante non si è spenta: virtù e conoscenza sono ancora lì, da scegliere, da praticare. Virtù non è moralismo, è schiena dritta quando tutto piega, è coraggio quotidiano contro il conformismo, è giustizia senza calcolo. Conoscenza non è nozionismo, è sete di verità in un mondo intossicato da menzogne, è visione lunga mentre tutto spinge al breve termine.
La sfida è questa: non vivere da bruti quando tutto spinge verso il peggio. Restare umani quando l’umano si degrada. Ricercare senso quando il senso evapora. Resistere all’onda della superficialità. Non è semplice. Ogni giorno il mondo ti ricorda che sarebbe più facile chiudere gli occhi, abbassare la testa, quasi scomparire. Ma chi rinuncia alla propria umanità perde tutto. Perde il futuro, perde la dignità, perde sé stesso. Non fummo creati per sopravvivere. Fummo creati per costruire, per pensare, per scegliere. E nessuna crisi, nessuna guerra, nessun algoritmo ci può strappare questa vocazione profonda. Dante ci interroga ancora: non vivete in ginocchio, camminate dritti. Non annegate nell’ignoranza, cercate la verità. Non rassegnatevi al peggio, testimoniate la virtù. Forse l’unico viaggio che oggi vale è quello che ci riporta all’essenziale, alla dignità, al rispetto, alla conoscenza. Non un naufragio verso l’ignoto, ma un ritorno alla nostra umanità più autentica. E forse un giorno, quelle parole antiche non saranno più monito, ma promessa compiuta.