
Accade un giorno, in un locale romano. Mentre i commensali chiacchierano, fuori una brezza di vento rinfresca l’aria. Sembra quasi un segno premonitore. Elly Schlein e Vincenzo De Luca parlano delle elezioni in Campania. Quel confronto così a lungo atteso spiana la strada alla candidatura di Roberto Fico. Ogni resistenza si scioglie.
D’improvviso De Luca sembra un’altra persona, o forse quello che dialoga è il De Luca vero, non il personaggio. Di colpo scompaiono gli strappi, gli scontri, le polemiche così aggressive da sfociare spesso nel dileggio personale, nella rappresentazione caricaturale dell’avversario di turno. Ora si tratta davvero, ciascuno gioca le sue carte. Schlein stringe tra le mani quelle migliori.
E più la discussione si infittisce, più si avverte in quella sala che il clima sta cambiando. Per dirla con un’immagine simbolica: in una giornata di fine luglio, al tavolo della “pax” romana, Napoli si riprende la scena politica. Mentre Salerno, lentamente, si avvia all’uscita dopo dieci anni di strapotere del suo uomo forte.
Il presidente si è battuto con tutte le energie. Come un leone, si dice in questi casi, e mai immagine fu più calzante: ai microfoni sembra che ruggisca. Ma la giovane donna che gli siede di fronte non è tipo da farsi spaventare. È stata più forte di De Luca, più tenace di tanti altri leader del Pd che l’hanno preceduta, da Bersani a Renzi e via così. Tutti a cercare, tra una battuta e un’alzata di spalle, i preziosi voti del potente salernitano. Ma stavolta, con Schlein, non c’è stato verso. Il no al terzo mandato, il diniego del Pd. L’inesorabile legge del tempo. Un ciclo si sta chiudendo, si apre un’altra pagina.
Gaetano Manfredi il temporeggiatore ha fatto da apripista al Comune, indebolendo tatticamente ai fianchi, senza alcun attacco frontale, la supremazia del “governatore”. Il sindaco per primo, con la sua capacità di tessere relazioni a destra e a sinistra, ha restituito un ruolo alla città. Con Fico – se eletto al vertice della Regione – prenderà forma l’asse che vede di nuovo al centro politicamente Napoli, in Campania e nel Sud. In un certo senso le cose tornano a posto.
Dovrebbe essere scontato che la capitale del Mezzogiorno detti l’agenda. Ma durante il decennio deluchiano non sempre è stato così. Lo “sceriffo” di Salerno è stato abilissimo a sfruttare le crisi altrui. Prima quella di Antonio Bassolino, il suo vero rivale nella sinistra ex comunista. Poi i dieci anni di Luigi de Magistris sindaco (2011-2021), scanditi dal furore ideologico e, attraverso la prolungata contrapposizione con i governi romani, dalla graduale perdita di visibilità del capoluogo nello scenario nazionale.
In questi vuoti, nella Napoli orfana di figure di reale spessore e largo consenso, si è inserito l’astuto De Luca. Disseminando i fedelissimi nei posti che contano. Molti alti gradi nella burocrazia e nelle aziende regionali in questi giorni tremano, perché l’apparato di potere salernitano si sta già sgretolando. Il presidente ha portato a casa un risultato enorme sotto il profilo economico e dello sviluppo locale, ovvero il nuovo aeroporto di Salerno e il rafforzamento del porto. Ha spostato punti del Pil regionale. Solo questo varrebbe dieci anni di governo. Centinaia di milioni di investimenti sono piovuti all’ombra del castello di Arechi. Ma l’età dell’oro sta tramontando.
La debolezza politica di Napoli, la mancanza di una vera classe dirigente, per un decennio ha spianato la strada al riequilibrio di poteri e opportunità. Un fenomeno simile accadde con Avellino, con la squadriglia irpina costruita da Ciriaco De Mita, segretario nazionale della Dc dal 1982 al 1989 e premier nel 1988-89. In Campania all’epoca non ce n’era per nessuno, gli irpini dettavano legge e spostavano investimenti. Poi quella fase si chiuse, così come accade ora per Salerno.
De Luca può trattare, come sta facendo, le condizioni più onorevoli. Un ruolo forte nel partito per il suo erede, il figlio Piero, e per la pattuglia di assessori e consiglieri fedelissimi. Una posizione centrale nel Pd regionale, facendo perno sui consensi del bacino salernitano. Tornerà a fare il sindaco, oppure il senatore, o qualsiasi altro incarico che gli dia visibilità. Alle prossime elezioni regionali non si potrà prescindere da lui e guai a sottovalutarlo.
Ma tutto cambia, ora, in direzione Napoli, intorno all’alleanza Manfredi-Fico, costruita sull’eccellente rapporto personale tra il leader dei Cinque Stelle Giuseppe Conte e il suo ex ministro dell’Università. È questo il vero asso nella manica del sindaco, prima ancora del rapporto con Elly Schlein. Il segreto sta nella sua trasversalità, nell’essere uno dei pochi politici di cerniera tra i mondi spesso conflittuali di Pd e M5S. Manfredi-Fico, il futuro di Napoli è questo. Ma due figure per quanto autorevoli non bastano. Resta il nodo di una classe dirigente ancora debole, da costruire intorno ai nuovi leader.


