

La nuova vita di Antonio ha forme e colori, i sottotitoli della tv ora si vedono anche da lontano. Può uscire da solo, senza paura di inciampare. «Sì, prima della terapia per me era tutto indistinto, impossibile anche riconoscere i volti di chi avevo di fronte», racconta. E poi ammette: «Non significa solo vedere meglio, vuol dire iniziare a vivere».
Ha 38 anni il primo paziente al mondo trattato con un’innovativa terapia genica per una rara malattia ereditaria della retina associata a sordità e cecità progressiva, la sindrome di Usher di tipo 1B, 20 mila persone colpite tra Europa e Stati Uniti. Operato a luglio 2024 presso la clinica oculistica dell’Università della Campania Luigi Vanvitelli, a distanza di un anno non è più ipovedente. Come si fosse accesa la luce, finalmente. Una storia di eccellenza e speranza, grazie alla terapia genica ideata dall’istituto Telethon di genetica e medicina di Pozzuoli, il Tigem, e impiegata anche su altri 7 pazienti italiani. Casi che confermano tollerabilità e sicurezza dell’approccio: il sorriso di Antonio è molto più di un “semaforo verde”.
«Ho accettato di essere il primo paziente non solo per me, ma per tutti quelli che vivono le mie stesse difficoltà», confessa lui, originario di Reggio Emilia, dove fa il magazziniere.
«A due settimane di distanza, mostrava già un miglioramento della capacità visiva e a un mese era in grado di vedere meglio anche in condizioni di scarsa luminosità – commenta Francesca Simonelli, ordinaria di oftalmologia, direttrice della clinica oculistica e responsabile del centro di terapie avanzate oculari della Vanvitelli – Oggi, di fatto, gli è stata restituita la vista».
L’aveva persa, Antonio, nell’arco dei primi 10 anni di vita, quando si era sviluppata una retinite pigmentosa che sembrava non poter essere trattabile. «Già – conferma Simonelli – perché mentre è possibile lavorare sulla sordità, non esistono terapie che possano curare la retinite pigmentosa. La terapia genica (che prevede il trasferimento nei pazienti di versioni corrette dei geni responsabili della malattia, ndr) era finora impraticabile per le caratteristiche del gene mutato, troppo grande per essere trasferito con uno dei vettori virali usati per correggere i difetti genetici oculari».
Il tutto fino all’auspicata svolta: il trattamento fa parte di uno studio internazionale, sponsorizzato da AAVantgarde Bio, biotech nata nel 2021 come spin-off del Tigem. E coinvolge anche Moorsfield Eye Hospital e The Retina Clinic di Londra: ad oggi però solo il centro di Napoli ha avviato le somministrazioni, trattando il primo paziente con la dose più bassa prevista.
«Nasce tutto da 10 anni di ricerca, con il supporto della Fondazione Telethon» commenta Alberto Auricchio, direttore del Tigem. Posa per le foto di rito il raggiante Antonio, testimonial degli effetti della ricerca scientifica e di una piattaforma basata su un approccio definito a doppio vettore: vuol dire che sotto la retina vengono iniettati due vettori virali distinti, ciascuno trasporta metà dell’informazione genetica necessaria per produrre la proteina mancante.
«La terapia genica è già oggi una realtà terapeutica per diverse malattie», sottolinea Auricchio. «Noi abbiamo sviluppato una piattaforma che consente di applicarla anche in malattie che dipendono da geni troppo grandi».
Non nasconde l’orgoglio Gianfranco Nicoletti, rettore della Vanvitelli: «L’università è luogo privilegiato per ricerca e sperimentazione, in particolare quando consentono trattamento e cura di patologie rare, ritenute incurabili come la Sindrome di Usher, migliorando la qualità della vita dei pazienti e consentendo risultati clinici di avanguardia».


