La scorsa settimana, per andare a Formia, mi sono trovato a percorrere la Domiziana. Ho imboccato la strada verso Castel Volturno, poi ho attraversato Pinetamare, Mondragone, e mi sono chiesto come sia possibile che tutto questo esista ancora. Com’è possibile che, a un’ora da Napoli e da Roma, in una regione che ospita le coste più belle del Mediterraneo, ci sia un pezzo d’Italia così fuori da ogni logica? Dove lo Stato non c’è, o fa finta, dove i palazzi sembrano scheletri, i marciapiedi sono foreste di erbacce, le finestre non hanno vetri e sguardi. Non è degrado: il degrado è una cosa che viene dopo, qui manca proprio il principio dell’abitare. Così disarmonico da diventare affascinante dal punto di vista narrativo.
Mi ha ricordato certe zone dell’entroterra albanese, che ho attraversato in macchina mesi fa. O il Foggiano, dove a un certo punto la carreggiata finisce senza motivo e inizia la polvere. Ecco, lì come qui, non si capisce se è ancora Italia, o una sospensione dello Stato. La fascia Domiziana sembra un luogo in cui la bellezza è stata cancellata con un tratto di penna; non ci sono piazze, non ci sono centri, non ci sono spazi condivisi. Tutto è costruito a caso, e poi lasciato a morire. Ma è anche un luogo che non esiste nel dibattito pubblico. E adesso, magari, si solleveranno voci a difesa delle amministrazioni locali, delle specificità, delle difficoltà. Ma il punto non è accusare i sindaci, il punto è che non è ammissibile, in un Paese moderno, europeo, occidentale, che esistano ancora intere porzioni di territorio che siano di fatto terre di nessuno, svuotate di cultura, estetica, bellezza. Dove le persone non possono crescere a livello economico, interiore o formativo, e nei quali ci si sente stranieri, tagliati fuori da ogni visione, ogni futuro.
Eppure, non è deserto, la gente c’è, vive, si arrangia, lavora, spera. Tra case abusive, cooperative, immigrati dimenticati, giovani senza nulla. Un’umanità che si arrangia, si mescola, sopravvive, da sempre. Nel frattempo, a pochi chilometri, il turismo di massa fotografa tramonti e cene in terrazza; sui social scorrono video patinati di resort, piscine e cieli aranciati. Eppure, basta una curva per finire in un mondo parallelo dove le insegne sono bruciate dal sole, le scuole sembrano rifugi, un luogo dove non ci si ferma, ma si attraversa.