

Una volta, nel secolo scorso, le federazioni giovanili dei partiti svolgevano molte funzioni. Erano in primo luogo palestre di formazione politica. Le ragazze e i ragazzi iscritti ricevevano dai più anziani, colti, preparati attraverso un’ampia gamma di letture, addestrati al confronto e alla dialettica, oratori capaci di affrontare comizi e dibattiti pubblici, la giusta educazione. La relazione intergenerazionale era anche la via giusta per la selezione delle élite e il relativo ricambio della classe dirigente. Certo non mancavano familismi, amichettismi, concessioni a una visione ereditaria del potere: basta scorrere gli annali della cosiddetta prima repubblica per scoprirvi tutto questo. E costituivano freni rilevanti, patologie che spesso bloccavano un sano ricambio di classe dirigente.
C’erano poi le scuole di partito nell’era in cui il partito di massa era ancora al suo apogeo e non era entrato nella fase del suo irreversibile declino.
Oggi, come dimostrano anche le dichiarazioni di alcuni coraggiosi candidati al consiglio regionale della Campania, riportate da questo giornale, la politica non è territorio per ragazze e ragazzi. Il confronto intergenerazionale è oggi sostanzialmente bloccato, a destra come a sinistra, dai signori del voto e delle tessere e dal rapporto semifeudale esistente fra i padroni elettorali e i loro clienti. Del resto si tratta di un fenomeno ormai radicato nel mondo attuale. Lo ha scritto assai efficacemente Massimo De Carolis nel suo recentissimo saggio “Rifeudalizzazione. La mutazione che sta disintegrando le democrazie occidentali”: il rapporto signore-vassallo sta coinvolgendo economia, società e politica, prefigurando un ritorno all’epoca della servitù volontaria a un signore per ottenerne benefici.
Quanto alle scuole di partito, esse sono state sostituite dalle fondazioni che non rispondono a interessi generali ma ai singoli partitini personali dei signori del voto e delle tessere.
La scarsissima presenza di candidati giovani nelle liste campane non può essere compensata dalla battaglia fondata sulla priorità di temi e obiettivi giovanili, come occupazione, risorse pubbliche per gli studenti e via discorrendo. È pia illusione. Gli obiettivi politici hanno bisogno di braccia e gambe, di forze e gruppi di pressione per essere realizzati, di capacità di rappresentanza e di resistenza, come direbbero i sociologi.
E allora: se la condizione di partiti che hanno perso tutte le funzioni di legittimazione non tollerano la presenza attiva di giovani e non consentono la loro candidatura autonoma a cariche ed elezioni, come uscirne?
Forse l’unica soluzione è creare dall’esterno forme di associazionismo democratico su specifiche tematiche e agire da gruppi di pressione capaci di scardinare la macchina di consenso di tipo feudale che caratterizza l’attuale condizione non solo campana.
È solo rientrando nei partiti da posizioni di forza che i giovani potranno smantellare il processo di rifeudalizzazione che li sta distruggendo.


