

Transizione climatica e ripartizione delle ricchezze non possono essere separate, ma vanno trattate insieme, puntando su un differente sistema economico. Consapevoli che tutte le grandi trasformazioni politico-istituzionali e sociali negli ultimi due secoli sono state faticosamente realizzate con una qualche riduzione delle disuguaglianze. Seguendo una regola: le grandi trasformazioni vanno guidate da regole di giustizia. E queste per essere accettabili devono proporsi eque sia tra i diversi paesi che al loro interno. Tenendo presente che nella creazione della ricchezza l’educazione e la sanità rappresentano fino al 25 per cento delle attività effettivamente creatrici. Che ovviamente non si realizza da sola, ma è il frutto di lotte politiche e sociali, la cui entità al termine del XXI secolo si ipotizza dovrà raggiungere il 40-50 per cento.
È quanto ha argomentato su Le Monde Thomas Piketty , l’economista direttore della Scuola di scienze sociali e di economia a Parigi, autore, tra i numerosi studi sulle disuguaglianze, di una Histoire du conflit politique scritta con Julia Cagé nel 2023. E dove Piketty argomenta ampiamente come senza una consistente riduzione delle disuguaglianze la preservazione del pianeta non si possa realizzare.
Si tratta di un percorso irto di difficoltà. Se i tentativi di coinvolgere i miliardari e i centomilionari che si sono sviluppati negli ultimi vent’anni non hanno conseguito grandi risultati, è evidente che i quadri superiori non accettano di contribuire. Non basterà quindi chiedere soltanto un contributo ai più ricchi, ma si dovrà coinvolgere l’insieme della scala complessiva dei redditi.
Per Piketty il segreto della prosperità collettiva risiede nella estensione dell’educazione e del livello di produttività, piuttosto che in scarti di reddito enormi. Considerando che uno dei limiti delle imposte sul reddito deriva dall’incapacità di riuscire a tassare adeguatamente i miliardari. Il denaro, raccolto con le tasse, per mobilitare le necessarie trasformazioni che sono colossali, deve riuscire a colpire i miliardari e il sistema di mondializzazione che impedisce tutto ciò.
Nel 2024 ad esempio il Brasile ha tentato di attivare un’imposta sui miliardari in seno al G20, nell’orizzonte delle questioni che sono ormai ivi abbordate per iniziativa dei paesi del Sud. Questi paesi cercano sempre più di porre sul tavolo la questione di una giustizia fiscale collegata alla compensazione dei danni causati dal cambiamento climatico.
Se non si individuano misure concrete per migliorare a breve la vita delle persone, la transizione ecologica appare come una promessa lontana e teorica, pur considerando le iniziative positive: i trasporti comuni e i primi kilowattori di energia gratuiti.
Tenendo presente che molti studi documentano come le disuguaglianze sociali si accompagnino con le disuguaglianze in materia di emissioni di gas a effetto serra. Questo è vero alla scala mondiale, dove le emissioni dei paesi del Sud sono complessivamente molto deboli: il 50 per cento dei paesi più poveri produce emissioni che vanno da 4 a 5 tonnellate di CO2 all’anno, mentre i paesi più ricchi superano le 50 tonnellate.
Prospettive non semplici: la mescolanza di nazionalismo e liberalismo al potere, specie con Donald Trump, non va a risolvere le sfide sociali e ambientali che abbiamo davanti. E in generale il quadro delle strategie in campo non è confortante. Anche il socialismo ecologico proposto da Piketty non è facile da mettere in atto per ammissione dello stesso studioso, è una prospettiva che ha bisogno di tempo, ma è pure evidente che le altre soluzioni come il nazionalismo o le logiche liberali non sono risolventi.
Si deve concordare con la visione radicale di Piketty quando afferma che la protezione del pianeta non si può conseguire senza una radicale riduzione delle disuguaglianze.