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Il bene nascosto di Koulibaly

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A vedere bene, tra le divinità dell’Olimpo non c’erano i buoni-buoni. Per dirla con un’espressione nostra, erano un po’ tutti “ciacca e medica” ovvero ferisci e cura. Le solite e scontate accuse di buonismo non potevano avere spazio.

Non potevano essere pronunciate le parole che abbiamo ascoltato fino alla nausea, “sì però lo fa solo per mostrarsi migliore degli altri; ma quando mai, vuole raccattare soldi facendo finta di darli; chissà, forse, non credo; ma dai, già sappiamo quali benefici può raccogliere; in realtà è una carogna come me e come tutti”.

Gli dei interpretavano la complessità dell’uomo, incarnata in eccesso. Si infastidivano dopo un’azione dignitosa senza soluzione di continuità, tradivano e amavano, giustiziavano e salvavano.

Alcune divinità si comportavano meglio, più o meno come succede nel nostro mondo, ma non avevano comunque vita eterna liscia liscia: la dea dell’agricoltura, la dea dell’amore e il dio della bellezza contribuivano a rendere benevola l’opinione pubblica che c’è sempre stata, che è pure stata spesso manovrata da chi si lustra il nome, a suon di menzogne, con i risultati positivi. Tra le dee “per il bene” si collocava Estia, una divinità minore, minore perché pare non possedesse un tempio personale, ma trovava albergo di altare nei templi dedicati ad altri.

Estia era la dea greca del focolare familiare, era il simbolo sacro dell’ospitalità inviolabile e del diritto d’asilo. Faceva un gran bel lavoro, insomma. In cambio le o?rivano i primi frutti dei campi.

Per molti è una divinità anche Kalidou Koulibaly, reso immortale in data 22 aprile 2018, quando volò come un aeroplano gigante e consegnò l’indimenticabile colpo di testa alla Juve.

Dicono che il boato non si spegnerà mai, che ancora si aggira nell’aria e torna con il mistero dell’impossibile che invece si fa possibile. E gioca.

Chi scrive non ha alcuna competenza calcistica: il tifo consapevole mi darebbe zero spaccato, tuttavia sono circondata da persone non solo appassionate ma pure esperte di questo e altri sport, perciò ogni tanto oso scrivere fuori dal seminato.

E poi il campione ha consegnato, anche a chi di calcio capisce poco, uno spunto di riflessione che riguarda l’agonismo: quell’agonismo contro il male, che smentisce i luoghi comuni che squalificano il bene in buonismo. Lo stesso agonismo delle migliaia di persone che non scelgono la via più semplice, che non ubbidiscono all’omologazione del giudizio.

Il Leone del Senegal ha edificato un altare senza tempio per dare una mano a chi ha bisogno. Il tempio non gli serviva, perché anche una persona con la sua notorietà può agire senza fracasso, senza insegne, senza celebrazioni. Lo ha fatto durante i gol, durante i successi, durante l’amore di tutti che ha voluto restituire.

Kalidou Koulibaly non ha dimenticato il suo Senegal e con altari discreti, mimetizzati nella religione quotidiana dell’umanità, ha consegnato al villaggio dei suoi genitori un ospedale pediatrico e in un altro villaggio vicino ha inaugurato l’Academy.

Questo mistero dell’impossibile che invece si fa possibile e gioca è la speranza che resta, è il dettaglio del salva tutti, è il racconto che va fatto: altrimenti restano solo i gesti con l’insegna d’oro, quelli frequentati dalla propaganda a tutto spiano, quelli che danno ragione al solito “hai visto?

Il bene non esiste, è un alibi per i deficienti: sopravvive solamente la sua pubblicità”.

Fonte: https://napoli.repubblica.it/cronaca/2025/09/05/news/il_bene_nascosto_di_koulibaly-424828018/?rss

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