

Ho letto di quasi quattromila nuovi alberi piantati a Napoli, una notizia semplice, timida, passata in sordina. Direte, non sono poi tanti. Direte, non servirà a niente se poi non li curano; direte, già vi sento: “Prima sistemate i marciapiedi”. Discutiamo sempre e solo dell’oggi, dell’immediato e mai del dopo. Perché è proprio questo il punto, un albero non serve oggi. Ed è proprio questo a mandarci in crisi, abituati come siamo a misurare tutto in risultati immediati. Un albero serve domani, quando noi non ci saremo più o quando, vecchi abbastanza da aver dimenticato le polemiche, ci ritroveremo un viale ombroso dove ricordavamo solo cemento.
“L’albero è l’unica infrastruttura che migliora col tempo”. È una frase che contiene una verità scomoda: ogni nostra opera – le strade, i marciapiedi, i cartelli – inizia a deteriorarsi non appena viene completata. L’asfalto si spacca, il cemento si sgretola, il metallo arrugginisce. Un albero invece si rinforza, si amplia, diventa ogni anno più utile e più generoso. Ma, e questo mi interessa, la nostra idea di futuro è stata compressa in un orizzonte cortissimo, quasi un’estensione del presente. Confondiamo ormai la velocità con il progresso, e abbiamo perso in pazienza; piantare qualcosa di cui godranno altri è un lusso di cui non abbiamo più memoria.
Piantare alberi ci obbliga a un gesto che abbiamo disimparato: pensare dopo. Significa accettare che il mondo non ruota attorno al nostro calendario e che esiste qualcuno – un bambino, uno sconosciuto, un passante futuro – che avrà bisogno di ombra, di aria migliore, di un luogo dove respirare senza cercare un condizionatore. Significa anche riconoscere che il tempo non è nostro e che la bellezza migliore è quella che non possiamo consumare subito. Significa pensare a chi verrà, come chi è venuto ha pensato a noi. È vero: alcuni di quegli alberi moriranno, altri cresceranno storti, altri ancora verranno dimenticati da chi dovrebbe prendersene cura. Ma non è questa una ragione valida per rinunciare a piantarli.
La verità è che gli alberi sono una promessa silenziosa, e noi abbiamo paura delle promesse, perché ci costringono a durare. Per questo, forse, la vera domanda non è “Quanti alberi servono?”. La domanda giusta è un’altra: quanta fiducia nel futuro siamo ancora disposti a mettere nel terreno?
Fonte: https://napoli.repubblica.it/cronaca/2025/11/23/news/il_futuro_ha_radici_lente-424999716/?rss


