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Il vuoto che lascia Ada Becchi Collidà

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Ho saputo della morte di Ada Becchi il 29 settembre. Era mattina presto e la notizia mi ha lasciato un senso di vuoto che non vuole andar via. Mi sono chiesto perché. Molti in Italia ricorderanno la sua vivacità accademica e il suo attivismo politico: la sua lotta per i diritti dei lavoratori dopo gli anni Sessanta, il suo contributo in Parlamento e nella giunta comunale di Napoli alla fine degli anni Novanta come vicesindaco nella prima Giunta Bassolino; i suoi scritti sullo sviluppo urbano e regionale. Ricorderanno la sua acuta consapevolezza di ciò che era necessario fare in Italia per migliorare la vita delle persone e dei luoghi svantaggiati, il suo impegno nel realizzare tali obiettivi. Qui invece desidero spiegare perché mi è rimasta una sensazione di vuoto. Ha a che fare con la generosità della professoressa Becchi, che era incondizionata.

Alla fine degli anni Settanta, mentre stavo scrivendo la mia tesi di laurea in Inghilterra sull’Alfa Sud, mi mise in contatto con vari sindacalisti e accademici, tra cui Romano Prodi, che era già un superstar. Questo mi valse un trattamento da Vip quando visitai lo stabilimento automobilistico vicino a Napoli e di nuovo all’inizio degli anni Ottanta, quando stavo facendo ricerche sul trasferimento delle grandi industrie nel Sud Italia per il mio dottorato di ricerca. A Torino, Milano e Napoli, i vertici dell’industria, del mondo del lavoro e del mondo accademico mi hanno aiutato, tutto grazie a Ada. Nella maggior parte dei casi, gli studenti possono solo sognare questo tipo di sostegno. Poi, nel 1984, Ada mi ha organizzato un visiting di tre mesi all’Università di Venezia mentre era in congedo sabbatico. Ho lavorato a un progetto di ricerca guidato dal professor Francesco Indovina sull’artigianato sommerso a Napoli. Ancora senza un dottorato di ricerca e chiacchierando con famosi urbanisti, trascorrevo le mie giornate nel grande e magnifico ufficio barocco di Ada all’Università, oppresso dalla mia sindrome dell’impostore.

In altre occasioni abbiamo cenato insieme al nostro comune amico, il professor Enrico Pugliese. Una volta lei ha parlato con stoicismo della tragica perdita di suo figlio in un incidente motociclistico negli Stati Uniti, tragedia che le fu comunicata con un telegramma. In seguito, abbiamo riso di quando una volta a Londra ho attraversato la città per darle dei soldi perché non riusciva a cambiare i suoi traveller’s cheque di domenica. Ha pubblicato la mia ricerca sull’artigianato napoletano sulla rivista da lei fondata, mi ha offerto la sua casa rustica sulla remota isola di Pantelleria e, all’età di 78 anni, ha fatto il viaggio da Roma a Procida e ritorno in un giorno per partecipare alla festa del mio sessantesimo compleanno. Ci siamo visti meno spesso negli anni 2000, ma negli ultimi anni ci siamo ritrovati, ancora una volta, a cena a casa di Pugliese e persino a dormire nel suo appartamento pieno di libri due anni fa (quando l’ho sorpresa a bere whisky e fumare una sigaretta di nascosto). Ogni incontro era un atto di generosità, un assaggio della sua vivacità intellettuale e della sua perspicacia, condito da commenti deliberatamente maliziosi di Ada su questo o quello.

Mi sono spesso chiesto perché Ada fosse così gentile con me. Naturalmente, nel corso degli anni siamo diventati buoni amici, quindi la domanda trova da sé una risposta. Ma perché quel desiderio di venirmi incontro sin dalla prima volta, quando mi conosceva a malapena, quando io avevo così poco da mostrare? È difficile da dire, ma ha qualcosa a che fare con il suo istinto di fare spazio agli estranei, di cambiare l’ordine delle cose in modo che possano essere accolti, di offrire loro qualcosa.

Ora capisco il mio senso di vuoto. Deriva dalla sensazione di perdita di quella rara persona che dà senza riserve, una qualità che sta scomparendo in questi tempi dominati dal calcolo. Non capita spesso che uno sconosciuto – poi diventato amico – voglia farti star bene. Ada (ed Enrico) mi ha aperto le porte in Italia, permettendomi di sviluppare una carriera accademica di successo in Inghilterra. Mi ha dimostrato che prendersi cura degli altri non deve costare molto. Ada era un dono, un’intellettuale, un’attivista e un’umanista unica nel suo genere. Il 12 settembre, mentre ero a Roma, ho chiamato più volte per organizzare un incontro. Ora capisco perché non ha risposto. Per la prima volta in quasi 50 anni che la conosco, volevo dirle che significava molto per me, sapendo bene che avrebbe riso di quel complimento. Non ho avuto la possibilità di dirglielo.

L’autore è professore emerito in Geografia all’Università di Cambridge

Fonte: https://napoli.repubblica.it/cronaca/2025/10/03/news/il_vuoto_che_lascia_ada_becchi_collida-424888526/?rss

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