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La generosa resistenza degli ospedali

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Negli ospedali della nostra città il tempo ha un modo tutto suo di scorrere: le ore si allungano come corridoi, dodici, tredici, a volte di più, e intanto la gente resta lì, distesa sulle barelle come in una piccola stazione senza treni, aspettando che qualcuno pronunci il proprio nome. È strano: in un luogo dove si dovrebbe correre, tutto rallenta.

Nei reparti di pediatria le luci restano spente più di quanto dovrebbero: medici pochi, turni intermittenti, servizi ridotti; dovrebbe essere il regno dei bambini, e invece è un reparto che trattiene il fiato. E noi con lui. Così come tratteniamo il fiato quando salutiamo gli infermieri e i medici che formiamo e perdiamo: vanno via in silenzio, uno per volta, lasciando un vuoto che fa più rumore di qualunque protesta.

Le liste d’attesa scorrono come un calendario stonato: ortopedia, cardiologia, neurologia… mesi, un anno, un’esistenza intera. Arriva prima l’estate che una diagnosi. E intanto le famiglie continuano a reggere tutto, figli, genitori, lavoro, paura, come se fossero loro la diga che trattiene un sistema che ogni giorno si sgretola un poco di più. E allora viene spontaneo chiedersi perché questo corpo immenso e fragile che chiamiamo sanità continui a essere lasciato senza ossigeno. La risposta è nuda: per anni la politica ha tagliato, asciugato, rinviato, ha trasformato il diritto alla cura in un capitolo di spesa da ridurre. Al Sud, poi, il taglio è diventato ferita: meno fondi, meno personale, meno speranza. Non è fatalità, è una scelta: abituarci alla mancanza, farci vivere nella penombra, convincerci che sia normale aspettare una notte intera su una barella; normale che un reparto chiuso non sia uno scandalo; normale ridurre la salute a un favore. Il risultato è evidente: un sistema che si regge solo perché chi lo abita — operatori e pazienti — resiste più della struttura che dovrebbe proteggerli. Perché in un ospedale, per fortuna, c’è sempre almeno un gesto che tiene tutto insieme: una coperta aggiustata, un bicchiere d’acqua offerto, una parola detta piano. Ed è questo che ci salva ancora: la minuscola, testarda cura che nessuna riforma riesce a misurare.

Fonte: https://napoli.repubblica.it/cronaca/2025/12/07/news/la_generosa_resistenza_degli_ospedali-425027377/?rss

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