

Leggo di interviste a prestigiosi Maestri del diritto, tra i quali anche chi ha presieduto la Consulta, o di accreditati opinionisti con un senso di profonda delusione. Si fanno affermazioni perentorie colme di pregiudizi, quali: a) il giudice e il p.m. sono “magistrati” e, quindi, fanno parte della “magistratura”, ossia svolgono una comune funzione di giustizia, ma devono essere organicamente separati, per il rispetto della “terzietà; b) il sistema correntizio è un “male” che va combattuto con il sorteggio dei componenti del Csm; c) il controllo disciplinare deve essere idoneo a punire i magistrati “non ligi”. Leggere di Ferruccio Auletta, che è consapevole della complessità del diritto (diventato materia per dilettantesche sperimentazioni) apre, perciò, il cuore, perché offre la possibilità di argomentare e non di procedere per “slogan”.
Dice Auletta su “Repubblica” che il magistrato è portatore di un potere diffuso e che, pertanto, non può essere paragonato a un membro di un ordine professionale qualunque. Le sue violazioni disciplinari, pertanto, non ledono soltanto il “prestigio” dell’ordine giudiziario, ma pregiudicano direttamente i cittadini (è una parola che preferisco a quella, abusata, di “popolo”) e il giudizio disciplinare del magistrato ha inevitabilmente una valenza duplice che lo avvicina a un procedimento “parapenale”. Ho presieduto per quattro anni la Sezione disciplinare. E, confesso, all’esito di quella esperienza nutrivo dubbi sulla scelta di Costituenti di affidare il procedimento disciplinare a una sezione del Csm. I dubbi nascevano, tuttavia, non dalle riflessioni di Auletta, ma perché conoscevamo dei magistrati inquisiti anche per le pratiche strettamente amministrative. Di quel collegio faceva parte Margherita Cassano, che sarebbe poi diventata la prima donna a presiedere la Corte di Cassazione, la quale potrà testimoniare della mia preoccupazione di giudicare a “mente spoglia”, senza farci condizionare da fatti conosciuti fuori dal dibattimento.
Mi sono a lungo chiesto quale fosse un possibile rimedio. A Costituzione invariata non ce ne sono. Si possono immaginare correttivi. Tuttavia, la soluzione di un giudice speciale “ad hoc” mi sembra un rimedio peggiore del male. I Costituenti, che di diritto “masticavano”, sapevano che anche la “disciplina” può essere condizionante, ma che non se ne può fare a meno. Pertanto avevano affidato l’iniziativa del procedimento disciplinare al ministro, in un sistema nel quale egli avrebbe colloquiato con l’organismo posto a garantire l’autonomia dei magistrati. Domani, il ministro diventerà un “promotore” dinanzi a un giudice speciale (e non più dinanzi all’organo di garanzia) di iniziative punitive nei confronti di magistrati “non ligi” (come ha dichiarato il sottosegretario Mantovano) con scelte che non potranno non essere in funzione delle ideologie di chi è al potere (cioè, caro Auletta, non ti dovrebbe sfuggire, che cambierà la portata precettiva dell’art. 107, 2° co. Cost.).
Si dirà che la Corte farà giustizia secondo diritto e coscienza. Ma mai come in questo caso il processo, per il solo fatto che è azionato, funzionerà da pena preventiva. In disparte che al magistrato sarà inibita la garanzia del ricorso per Cassazione, che è concessa a tutti i cittadini, così accentuando il carattere punitivo di un processo del tutto “alternativo” a quello praticato per un qualsiasi componente del “popolo” (di cui i magistrati, in quanto persone, fanno parte). La riforma contiene altre scelte discutibili, che finiscono per essere secondarie. Non seguo Auletta quando difende la soluzione di accomunare giudici e pubblici ministeri nel processo dinanzi alla Corte. Il suo ragionamento, se potrebbe avere qualche fondamento per i giudici (che hanno il potere di decidere), non ne ha alcuno per i pubblici ministeri, che, essendo obbligati a proporre l’azione, non hanno potere decisionale e, quindi, esercitano un non-potere (e ciò a maggior ragione domani, a carriere separate). Allo stesso modo, se -come egli rileva- fino ad oggi si è tollerata la giustizia disciplinare domestica dei giudici speciali, la riforma non lo dovrebbe consentire per il futuro, perché la trasformerebbe in odioso e ingiustificato privilegio. In conclusione, l’alta Corte è stata pensata per ridurre le garanzie predisposte dai Costituenti a tutela dell’autonomia della magistratura e per “normalizzarla” al fine di porre un limite alla sua invadenza. Se il cittadino (o, se si vuole, il popolo) ritiene che la magistratura debba essere “normalizzata”, voti la riforma. Non mi meraviglierei e sono rassegnato. Viviamo momenti in cui la democrazia non è più un valore; è piuttosto un peso.


