
“Nella penombra s’intravede solo un rettangolo d’acqua. Su una scalinata, un uomo di spalle, lo sguardo orientato verso il volto di un Sant’Antonio sospeso in aria…”. È tutto da scoprire l’universo creato da Gianni Carluccio per “Non posso narrare la mia vita”, la visione teatrale che Roberto Andò ha dedicato ad Enzo Moscato, presenza d’autore, corpo e sangue, umore e amore, voce del teatro che ha lasciato il suo segno e, nemmeno un anno fa, la sua vita d’artista molto amato.
Ci sono spettacoli che viene voglia di rivedere ancora e ancora. A volte per comprenderli meglio, a volte per il piacere di riafferrare l’emozione e fermarne il ricordo. È lo scialo e la condanna del teatro che in Italia si moltiplica per regole di dissipazione all’interno di quell’eccellenza scritta nell’aria che ha vita breve nell’illusione di un fermo immagine emotivo. Così può essere davvero un privilegio vedere e rivedere al Mercadante il “Non posso narrare la mia vita” che Roberto Andò ha messo in scena, drammaturgo e regista, per il Teatro Nazionale di Napoli, a ritrovare la scrittura di Enzo Moscato, in replica ancora fino a mercoledì 7 gennaio.
Due anni quasi dalla morte ed ecco che l’”omaggio” diventa immediatamente qualcosa di più, è il ritrovare aperta la strada di una delle voci più forti e originali nutrite dalla babelica città/sirena nei suoi molti anni. Ecco impallidire dunque la memoria dell’attore e del regista per fare spazio alla presenza dell’autore, ritrovato questa volta non nella complessità dei suoi titoli teatrali ma nei frammenti di scrittura che Andò ha prediletto immergendosi nell’enorme corpus di scritti che Claudio Affinito ha messo in ordine e custodito con amore amicale.
Da quei frammenti, e partendo dal fantasioso autobiografismo di “Gli anni piccoli”, libro prezioso per chi lo legge innamorandosi di “agglutinazioni visionarie, sprazzi di vita ripercorsi con l’occhio e l’orecchio dello sciamano, buchi, faglie, crepe di una memoria a brandelli, e solo a posteriori rammendata”, come ha detto lo stesso Andò che ha raccolto l’emozione fondendola con altri segmenti di scrittura.
Ecco il puzzle fantastico, costruito con tessere d’autentico struggimento. Dallo straordinario bestiario di “Occhi gettati”, “Autodafé”, “Partitura”, “Signurì signurì”, “Rasoi”, “Co’stellazioni”, via via nell’errabondo viaggio, in somma di ferite, sussulti, ironia, musica affidando tutto a una gran folla di figure disposte in geometrie sghembe, ad emergere dalle ombre della magnifica scenografia creata per ispirazione visionaria da Gianni Carluccio, colorate, spritose presenze “d’antan” per il lavoro di Daniela Cernigliaro che ne firma i costumi.
Attori capitanati da Lino Musella occupano gli spazi stretti e le scale del tempo e della vita nel racconto di una città che morde e accarezza. Musella è il perno che regge quella visione, crea il personaggio Enzo senza proporre ricalchi, non è ombra, se ne allontana costruendo un suo sguardo molto personale, tessendo il suo rapporto con la scrittura moscatiana che Roberto Andò gli ha cucito addosso, come abito ben misurato, la voce pacata, l’emozione che tende lo sguardo molto avanti, come in un incantato osservare e ascoltare i ritmi e le ansie suggerite, i sorrisi possibili, i ritmi che la musica di Pasquale Scialò ha ritrovato percorrendo la sua personale memoria e dimestichezza creativa.
Ecco che la musica tracciata da Scialò diventa percorso parallelo, ancora molto vivo che poi s’intreccia con la scrittura di Moscato, così che le canzoni che Lello Giulivo e Flo fanno loro come sussulti divertiti sono tappe di vita e memorie squisite. Altro momento felice di questo spettacolo bello. Non meno delle visioni e delle sorprese, c’è la tensione disperata di un magnifico Tonino Taiuti, ancora una volta in personale ed eccellente adesione alla scrittura di Enzo Moscato.
A queste due “guide” si affianca con ricchezza d’intuizioni Giuseppe Affinito voce e sussurro di un escluso e stupito momento critico, e con loro Vincenzo Pasquariello, Ivano Battiston, Lello Pirone, Eleonora Limongi, ed una gran folla di altre presenze mute, “voci e corpi della città”: Nikita Abagnale, Mariarosaria Bozzon, Francesca Cercola, Gabriella Cerino, Nicola Conforto, Mattia Coppola, Vincenzo D’Ambrosio, Matteo Maria D’Antò, Ciro Giacco, Eleonora Fardella, Mariano Nicodemo, Maurizio Oliviero.
Tutti a popolare l’universo moscatiano proposto da Roberto Andò direttore di un Teatro Nazionale che percorre la strada della conoscenza della scrittura di un geniale protagonista del teatro napoletano, più recente e di respiro europeo. Tappa di una pratica virtuosa di attenzione a chi degli umori della città si nutre e crea a sua volta nutrimento fantastico e critico in nome del teatro.


