

Sono passati (quanti?) otto, forse nove mesi da quando la Tangenziale di Napoli chiude ogni notte per lavori. L’orario è sempre lo stesso: da mezzanotte alle sei del mattino, puntuale come un mantra. Ieri, per dire, la chiusura riguardava la zona Arenella. Tratto dopo tratto, uscita dopo uscita, la scena si ripete: una corsia bloccata, una deviazione, un messaggio lampeggiante che ti dice di rallentare, ma intanto ti acceca, e così non vedi la svolta giusta. Tornare a casa a Napoli è diventato come affrontare una Escape Room.
I comunicati parlano di “lavori di adeguamento e miglioramento impiantistico e strutturale”. Che significa esattamente? Non si sa. Non c’è una galleria nuova, nessun ponte avveniristico, visivamente tutto sembra com’era. Eppure, ogni notte si lavora.
Allora, mi domando: ma in nove mesi, cosa si può fare? Si fa un essere umano (e già), si può imparare una lingua straniera, metti il tedesco, e anche usarla per leggere Kafka in originale. Si può cambiare lavoro, magari partner. Si può fare un corso di ceramica e aprire un profilo Etsy. Si può scrivere un romanzo, si può coltivare un orto e mangiare tre cicli di pomodori. Si può imparare a suonare il violoncello, si può crescere, cambiare, vivere.
Oppure, si può stare fermi sulla tangenziale. A fare lavori notturni che non finiscono mai, che non mostrano nulla, che sembrano più un rito che una riparazione; un mistero, un gesto simbolico, qualcosa che va fatto perché va fatto, non per concludere, ma per restare. E in mezzo a tutto questo, tra una bestemmia a denti stretti e l’ennesimo giro alla rotonda, capita anche di provare una certa tenerezza, che sconfina in ammirazione, per quei lavoratori che, ogni notte, sono là. So che è il loro mestiere, ma vederli in piedi a quell’ora, sotto le luci arancioni, tra fumo, pioggia, rischio e fatica, mi strappa rispetto.
In fondo, la Tangenziale di Napoli è più che un’infrastruttura: è una metafora del nostro tempo; ci dice che si può lavorare instancabilmente per mesi, senza cambiare nulla. Che si può chiudere ogni notte, aprire ogni mattina, e restare sempre allo stesso punto. E che forse, in fondo, va bene così.
Io, però, un ponte di cristallo alla fine me lo aspetto.
O, almeno, un tunnel quantistico.


