
Le opere di misericordia hanno un ruolo centrale nell’immaginario napoletano grazie agli antichi monti e al famosissimo quadro di Caravaggio. E proprio al capolavoro di Merisi, tutto ambientato in un vicolo napoletano, senza mare, senza sole, senza luce, dove l’umanità s’affolla in una radiocronaca notturna del bisogno e del sentimento, fa pensare il denso libro di racconti di Enrica Leone, “Solo preghiere e opere di bene”, pubblicato da ‘round midnight edizioni, coraggiosa casa editrice indipendente che da San Giorgio del Sannio produce non solo bei libri ma anche un’incessante attività comunitaria e di promozione alla lettura nella libreria Casa Naima, diretta da Domenico Cosentino.
Molti dei brevi racconti di Enrica Leone procedono per epifanie, annunci, aperture di luce sul destino dei personaggi. Personaggi che si trovano tutti sospesi nel loro privato purgatorio, come ben si sottolinea nella prefazione: sono anime pezzentelle, di quelle con le fiammelle azzurre sotto i piedi che si vedono ai crocevia delle strade cittadine, nelle edicole e nelle chiese. Che si tratti della telefonata di una fratellastra di cui si ignorava l’esistenza, di Faruk nato sotto le bombe, di Amedea detta Medea e della sua malattia, dell’amore fra Maria Paola e Ciro, che ha scelto di essere maschio contro la volontà del suo paese, contro la volontà del fratello di Maria Paola, finché a pagare il prezzo della vita è per incidente Maria Paola, di Gaetano morto sparato che si lascia dietro un sogno giovane di felicità e famiglia che mai potrà diventare vecchio, degli attacchi di panico superati attraversando la città, che si tratti insomma di una delle tante storie che furtivamente Enrica Leone raccoglie in istantanea, ogni racconto resta come scheggia rotta di uno specchio, misericordia mancata o accordata dalla vita, che al lettore tocca confermare o concedere. Tranche de vie, dicono i francesi per indicare la forma più fulminea di una storia, non necessariamente brevissima, come sono le short story americane, però del tutto calata in una frazione dell’esistenza dei personaggi. Si intuisce dietro ciascuna vicenda il potenziale di una narrazione più ampia, di aperture che la scrittura di Enrica Leone forse maturerà, che rivela però chiaramente il sentire empatico di chi scrive, la capacità di cogliere dettagli e trattenere voci. “L’amore per i morti deve fare meno rumore. Potrebbe infastidire i vivi”, pensa una madre che perde la figlia. Ed è di questo tipo di rumore di fondo – le voci degli inascoltati, le anime dei dimenticati, le esperienze di chi è collaterale al grande gioco della vita eppure è vivo o è viva – che si nutrono le storie di “Solo preghiere e opere di bene”. Sospesi fra la vita e la morte, sospesi fra una decisione e una scelta, impossibilitati a volare, tutti i personaggi sono detenuti in attesa di giudizio: Salima, che da due settimane a Napoli, venuta dalla Libia, insieme ad altre donne, chi madre, chi figlia, chi madre non sarà mai, tutte chiuse in un centro, in attesa, ma senza vedere mai la città, dice “Tutti qui dentro dicono che Napoli è bella. Io non ci credo”. E la donna stuprata nel racconto “Ora lo so”, che vivrà per tutta la vita con la mano sulla testa che l’ha tenuta ferma mentre si consumava la violenza, che della violenza alla fine non ci dice nulla di diretto – tornano in mente le parole di Franca Rame dopo lo stupro politico che subì, le volte in cui l’abbiamo vista in scena rivivere ciò che era riuscito a trasformare per tutte noi in drammaturgia, le lacrime e la rabbia che sempre suscitava – ma tutto ci fa sentire, perché l’umiliazione è per sempre, il gesto della sottomissione non si cancella. E poi la camorra a Pomigliano, le vite tolte cantate da un coro nel racconto che dà il titolo alla raccolta. Della memoria che resta e di come si muta in storie parleremo con l’autrice al Campania Libri Festival sabato 4 ottobre alle h 17.15.