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Oggi sognare è un gesto politico

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In questo Paese sembra quasi vergognoso pronunciare la parola “sogno”. Ti dicono che è roba da adolescenti, da ubriachi, da anime fragili. Ci hanno educato a credere solo nei numeri, nei bilanci, nei decreti. E così siamo diventati adulti senza futuro, tecnicamente vivi ma politicamente morti. Eppure la storia non si muove con le statistiche: si muove con i sogni. Martin Luther King lo sapeva bene: “I have a dream”.

Non era un hashtag, ma una visione che ha piegato leggi e pregiudizi. Oggi invece i nostri leader hanno smesso di sognare e noi con loro. Gestiscono, calcolano, recitano. Parlano di pace davanti alle telecamere e firmano contratti di armi nei retrobottega. Parlano di giustizia mentre lasciano crescere diseguaglianze da dopoguerra. Parlano di futuro mentre vendono il presente a banche, lobby e multinazionali.

È vietato sognare, perché il sogno è sovversivo. Un bambino che immagina un mondo senza confini mette in crisi chi costruisce muri. Una ragazza che sogna un lavoro dignitoso smaschera il sistema che normalizza lo sfruttamento. Un popolo che sogna la pace disarma l’industria che vive di guerra. Per questo i sogni vengono ridicolizzati: perché fanno paura a chi ha interesse a mantenere le cose come sono.

Eppure Gaza e l’Ucraina gridano che non possiamo più aspettare. Il sangue dei civili, i bambini senza infanzia, gli ospedali bombardati ci dicono che il tempo è scaduto. La crisi climatica ci mostra che il pianeta non regge più, e mentre bruciano foreste e ghiacciai si continuano a firmare licenze per trivelle e carbone. L’intelligenza artificiale avanza più veloce delle coscienze, con la promessa di renderci immortali mentre rischia di ridurci a ingranaggi di un algoritmo.

E noi? Ci rifugiamo nell’ironia cinica, nell’odio social, nel “non dipende da me”. Ma il vero scandalo non è chi sogna: è chi tace. È la neutralità travestita da prudenza. È il realismo che diventa alibi per non cambiare nulla. Così la politica si riduce a gestione dell’esistente, la democrazia a rito elettorale senz’anima, la cittadinanza a spettatori muti di una rappresentazione sempre uguale. Intanto il linguaggio pubblico si sporca: parole come “accoglienza”, “pace”, “giustizia” diventano slogan vuoti, da usare e gettare. Anche per questo il sogno è necessario: perché restituisce significato a vocaboli che la retorica ha consumato. Un mondo senza sogni è un mondo che ha già scelto la sconfitta. Perché i sogni non sono favole, sono atti politici. La libertà, i diritti, la democrazia non sono nati da calcoli di convenienza: sono nati da sogni giudicati follia. La fine dell’apartheid, la conquista del voto alle donne, i diritti dei lavoratori: tutto era sogno, fino al giorno prima che diventasse realtà. Ogni passo avanti dell’umanità è stato, prima di tutto, un atto di immaginazione.

Per questo oggi il compito più urgente non è rassegnarsi, ma organizzare la speranza. Non come illusione, ma come forza collettiva. Non come rifugio, ma come lotta. Sognare è il gesto più politico che ci resta, perché incrina i palazzi di potere, ridicolizza i mercati, scardina le logiche di guerra. Lo sanno i giovani che scendono in piazza per il clima, i movimenti che resistono alla violenza della pace mancata sui campi di battaglia e nelle nostre periferie, i volontari che nei confini del mondo e della nostra città provano a tenere accesa la fiamma della dignità. “Io ho un sogno”: lo ripeto anch’io, ed è la frase più politicamente scorretta che possiamo pronunciare oggi. Il sogno che i bambini di Gaza e quelli di Kiev possano crescere insieme in un silenzio di pace. Il sogno che la terra non sia divorata dal profitto, ma custodita come bene comune. Il sogno che le donne non muoiano di amore malato. Il sogno che il lavoro non sia sfruttamento ma dignità. Il sogno che l’Europa non sia un condominio di interessi, ma una casa di popoli liberi. Non saranno i governi a regalarcelo. Tocca a noi renderlo carne, farne scelta quotidiana. Perché la guerra non sopravvive alle bombe: sopravvive alle nostre ipocrisie. E la pace non è impossibile: è proibita da chi ha paura di perdere il potere. Ecco perché oggi, più che mai, sognare è un atto di resistenza. Un’eresia necessaria. Meglio il rischio di sembrare folli che l’abitudine a restare complici. Meglio i sogni proibiti che le menzogne autorizzate.

Fonte: https://napoli.repubblica.it/cronaca/2025/10/12/news/oggi_sognare_e_un_gesto_politico-424908072/?rss

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