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Giustizia, una riforma già superata

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Tra le grandi riforme che il Governo e la maggioranza di centrodestra stanno proponendo a ritmi serrati (con esiti incerti), questa settimana spiccano quella del gioco del burraco, promossa dal presidente del Senato La Russa, e quella, senz’altro di minor rilievo, della separazione delle carriere di giudici e pubblici ministeri. Di cui ci occupiamo, occorrendo per il burraco competenze tecnico – scientifiche che meritano un approccio di maggiore valore contenutistico.

Dunque, la Camera approva in prima lettura il disegno di legge costituzionale sulla separazione delle carriere di giudici e pm. Scopo della riforma: limitare il correntismo tra i magistrati, depotenziare la figura del pm, con l’intento di limitarne gli eccessi di potere, fare del pm una controparte vera e propria della difesa, a sostegno della struttura accusatoria del codice del processo penale.

E, dunque, sdoppiamento del Consiglio superiore della magistratura e delle carriere ma, e qui una prima defaillance, istituzione di un’unica Alta corte disciplinare che giudica entrambi, senza distinzioni. Due di tutto, tranne quando si tratta di sanzionare. Tuttavia, le chicche con finiscono qui. Tratto caratterizzante di questa riforma è l’affidarsi alla “sorte”, sperando che sia buona. I componenti dei due Csm e dell’Alta corte sono infatti “scelti” per sorteggio e non frutto di elezione, sia da parte dei giudici che del Parlamento.

Un bel segnale che proviene da un governo che ha sempre violentemente denigrato il principio dell’”uno vale uno” di marca grillina e che, di contro, ha sempre sbandierato l’applicazione del merito come discriminante nella formazione dei cittadini, tanto da dedicare a tale principio un bel ministero. Ma è proprio l’impianto della legge che appare superato. Perché se l’intento era quello di rompere una contiguità tra pm e giudicante e, dunque, evitare in radice che tra i due si potesse stabilire un così stretto rapporto, tale da alterare gli esiti processuali, questa riforma non coglie nel segno.

Distinguere le carriere oltre che le funzioni, moltiplicando gli organi di autogoverno nella speranza di indebolire il pm, non è per nulla decisivo. Anzi. Il rischio è proprio quello di rafforzare la figura del pm. Che godrà di una autonomia e di una forza ancora maggiore, ormai corpo separato dagli altri magistrati e non più “unus e multis” come prima. Ed è pia illusione che con la moltiplicazione delle carriere, dei concorsi e delle forme di governo dei magistrati le correnti scompaiano. Anzi, esse si moltiplicheranno e si adegueranno alla mutata realtà. Perché il principio della libertà di organizzazione spontanea della rappresentanza non può essere limitato o ridotto con qualche provvedimento legislativo di buona volontà.

Lo si è visto con i partiti. Può cambiare la legge elettorale, può cambiare l’assetto istituzionale, può cambiare l’orientamento delle formazioni politiche ma nei partiti le correnti continuano a moltiplicarsi. Dunque, un tentativo inutile. Ma errata è pure la concezione di partenza. Che immagina il pm come un rappresentante dell’accusa e, pertanto, contrapposto alla difesa nella dialettica processuale. Se il pm è troppo vicino al giudice, si sostiene, tale intima connessione andrà a discapito della difesa. Dimenticando che il pm non è una parte contrapposta all’avvocato ma è un soggetto che deve agire per la ricerca della verità processuale, se non quella oggettiva, in nessuna contrapposizione preconcetta all’indagato. Una parte imparziale, per usare un ossimoro. Inserito in un ruolo separato, con un rapporto con la polizia giudiziaria che si farà ancora più esclusivo e totalizzante, il pm, per paradosso, sarà ancora più autonomo e forte. L’opposto di quanto spera il Governo.

Ma l’inutilità di questa riforma si era già palesata da tempo. Difatti, a partire dalla legge Castelli del 2006 e fino alla legge Cartabia del 2022 la possibilità di passare dalla funzione giudicante a quella requirente, e viceversa, è già stata fortemente limitata, tanto da renderla di fatto inesistente.

Oggi tale passaggio è possibile una sola volta nei primi dieci anni. Di fatto, le carriere separate già esistono. Il tema vero è che l’unicità delle carriere affonda la sua motivazione essenziale nella necessità che i pm e i giudici si formino, maturino e sviluppino le proprie competenze nell’ambito di un patrimonio culturale comune.

L’unità della giurisdizione rimane essenziale e vive nella condivisione di principi comuni, nel confronto continuo, nello scambio di esperienze diverse pur nella comunanza di intenti. Di tutt’altro ci sarebbe bisogno qui e ora. La massacrante lotta contro la criminalità, come denunciato nelle scorse ore dal procuratore di Napoli Nicola Gratteri, richiederebbe più giudici, più pm, più mezzi, più risorse. Invece, ci si trastulla sfornando riforme già superate dalla realtà, come la divisione delle carriere, o che quella realtà superano, sconfinando nell’onirismo. Come il burraco.

Fonte: https://napoli.repubblica.it/cronaca/2025/01/19/news/giustizia_una_riforma_gia_superata-423948105/?rss

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