mercoledì, 18 Giugno, 2025
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“Ma tu vulive ’a pizza…”

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Aspetto.

Ormai l’autista mi viene a prendere. Mi piglia e mi porta. Tra tutti i benefici di una carriera riuscita, questo è l’unico a cui non saprei rinunciare. Balle.

All’occorrenza si sa rinunciare a tutto, perfino alla libertà, perfino alla salute. Comunque farei fatica a non avere l’autista che mi piglia e mi porta: non la prenderei bene. Infatti ogni volta che l’autista mi riaccompagna a casa lo saluto così: “già mi manchi”. Lui mi risponde sempre: “non esageriamo”.

Ho settantadue anni e da dieci cammino male. Un incidente mi ha accompagnato verso l’impiccio definitivo: la caviglia sinistra ha dovuto essere ricostruita, male, appunto.

Mi chiamo Fabrizia Adagio, anche se finché ho avuto entrambe le caviglie sane non ho fatto altro che correre: correre nei lavori, correre negli a?etti, correre negli studi, correre per il mondo, correre nel dolore, correre nei piaceri. A volte credo che la caviglia si sia frantumata per legittima difesa.

Continuo ad aspettare. Strano, l’autista non fa mai tardi. Sbircio le macchine dall’interno del portone, ognuna del colore giusto mi sembra quella che sto aspettando, ma invece accelerano e se ne vanno.

Il telefono.

– Pronto, autista? –

– Ho un problema al carburatore. –

– E quindi? –

– E quindi deve aspettare, a meno che non voglia prendere un taxi o la metro. –

– Non se ne parla neanche. Aspetto. – Io in metro, di nuovo? Ma per carità.

È grazie a una metro pazza che ho avuto l’incidente.

– Farà tardi. Per arrivare al Napoli Pizza Village, dovremmo attraversare viale Augusto che è bloccato per un incidente. –

– Quante storie, facciamo un’altra strada. A proposito, ti aspetto agli chalet di Mergellina. Vienimi prendere là che già mi sono stancata di restare in piedi. –

– Avvisa lei l’organizzazione del… –

Chiudo. Non esageriamo, caro autista.

Mi accomodo al tavolino. Il profumo del mare mischiato agli olezzi della benzina spalanca ricordi. Tanto per cominciare il ricordo delle sigarette. Fumare ’n canna a’ mmare, come dicono in Puglia, era uno dei piaceri sublimi dei miei giorni fino a dieci anni fa, fino a che il mio piede rimase incastrato tra il gradino della metro e la banchina. La metro da ferma decise di fare un salto proprio mentre io scendevo. Così, per improvviso spirito sportivo, forse. O per consueta pazzia. Fumare vicino al mare era un piacere infinito. Però anche interrompere le dipendenze è un piacere infinito. Perciò, ogni volta che ricordo la boccata di fumo, correggo il fremito in soddisfazione da cessata dipendenza.

Ero diventata dipendente anche da te. Molti all’epoca pensarono che fossi lesbica, cioè che l’amore provato per te fosse amore amoroso. No, era amore di madre anche se non sono tua madre di sangue, ma non avevo voglia di spiegarlo al prossimo, quindi lasciavo che capissero quello che preferivano.

Mi avevi raccontato i tuoi guai giganteschi e nella mia testa era scattata una disfunzione ormonale simil “ci penso io, ora sono tua madre”. Hai rubato a otto mani quello che ti davo a dieci mani. L’imbecille ero io, tu non hai colpa. Anzi, forse una sì: hai fatto come la Spagna dopo la scoperta dell’America, non hai considerato che l’oro e gli schiavi prima o poi finiscono, se non si concede almeno un poco di respiro, se non si continua a fingere ad arte che le perline false siano vere.

La metropolitana incriminata mi fece se non ricca, benestante. Vinsi la causa contro il salto improvviso. Corsi a studiare, adesso potevo farlo. Ora dico che l’arte della pizza ce l’ho nel sangue, perché mio padre e il padre di mio padre mi hanno tramandato la farina e l’acqua, le dosi precise e i mulini ad acqua e a vento. Ma quando mai! Mi sono pagata i migliori corsi, sono andata a studiare dai pizzaioli veri, non mi sono risparmiata ad apprendere pure le briciole. Modestamente, la mia dipendenza dallo studio non è cosa da tutti.

Ho aperto pizzerie a Londra e a Parigi, produco criscito come se non ci fosse un domani, ho brevettato impasti e pomodor d’amore. Sono ricca, ma non è questo il giubilo. Almeno non è solo questo.

Il giubilo è quando la sera mi fermo dopo le mie corse sempre più lente e ripenso alle dipendenze da cui mi sono liberata: le vedo sfilare davanti ai miei occhi come su una passerella pericolosa. Camminano, belle e sinuose, fino al bordo buio dove la passerella finisce. Poi cadono. Tump. A ogni tonfo, canto: Ma tu vulive ‘a pizza, ‘a pizza, ‘a pizza…

Oh, ecco l’autista. Apre lo sportello e mi dice che mi stanno aspettando. Ha provveduto lui ad avvisare per il ritardo.

– Già mi manchi. – Gli dico.

Guardo la caviglia ricostruita male e continuo a cantare.

Fonte: https://napoli.repubblica.it/cronaca/2025/05/25/news/ma_tu_vulive__a_pizza-424628421/?rss

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